Riflessione di inzio Novembre di Giovanni Monchiero

La vita è bella, ma complicata

Alla vigilia di Halloween, una infermiera dell’ospedale di Novara ha conquistato meritata celebrità organizzando una sfilata di “no green-pass” vestiti come i deportati ad Auschwitz.

Manifestare in pubblico il proprio pensiero è diritto costituzionalmente tutelato. Farlo in città tutti i sabati pomeriggio, recando gravi disagi a chiunque abbia necessità di andare in centro, bloccando le strade dello shopping e costringendo ad una chiusura di fatto i commercianti già duramente provati dal lock down post Covid, a molti pare un abuso,  per di più finalizzato ad affermare opinioni minoritarie e più che discutibili.

Per superare obiezioni di questo genere, Giusy Pace ha deciso di alzare il tiro ideologico.  I soliti slogan contro le multinazionali del farmaco, gli scienziati ad esse asserviti e i giornalisti venduti       (per definizione) e complici,  hanno trovato sublimazione nell’abbigliamento che , da solo, diceva anche di più: il green-pass è l’anticamera della deportazione e dello sterminio.

Il richiamo alla Shoah è tuttora scioccante. La storia dell’umanità è ricca di stragi, ma nessuna così cinicamente pianificata ed altrettanto efficacemente eseguita. Sei milioni di morti impongono il silenzio. Solo i grandi artisti possono aprir bocca, magari per strapparci un sorriso di profonda umanità come riuscì a Benigni con “La Vita è Bella”.

L’iperbole di Giusy Pace (mai cognome fu meno appropriato) non è affatto bella. È folle come la battaglia dei portuali triestini che, incuranti del ridicolo, si ergono a censori della scienza e concorrono a fare di Trieste la città più contagiata d’Italia, che, detto per inciso, sta affrontando la quarta ondata del Covid meglio di molti altri paesi europei.

L’iperbole è folle, ma coerente con l’atteggiamento di chi si sente superiore a milioni di cittadini comuni (nel caso di specie, i vaccinati), trova somma gratificazione nel richiamare l’attenzione degli altri sulle proprie opinioni e per farlo non rinuncia all’esasperazione, né si arresta davanti alla deliberata falsificazione.

Mi viene da accostare alle proteste dei no-vax quelle dei difensori del clima. Che hanno senza dubbio ragione, nella stessa misura in cui i primi hanno torto. Unico elemento comune è la perniciosa tendenza alla semplificazione.

È giusto preoccuparsi dei rapidi mutamenti climatici e dolersi delle misure sin qui adottate dai potenti della terra. Ma il poco che si è concluso al G20 rappresenta probabilmente il massimo che ci si potesse attendere. Al COP 26 si otterrà ancor meno. Numeroso è il tavolo, ma troppi partecipanti sono privi di autorevolezza. Del resto, le speranze suscitate, sei anni fa, dall’accordo di Parigi furono subito stroncate dall’avvento alla Presidenza degli Stati Uniti di un uomo non avvezzo ad arrendersi all’evidenza. E negare il problema non aiuta certo a risolverlo.   

Con Biden almeno gli americani si sono di nuovo seduti al tavolo ove hanno manifestato buone intenzioni. Ma il problema è molto complesso ed anche se si costruisse fra tutti gli statti del mondo quella concordia che oggi non c’è, chi saprebbe indicare una strada praticabile per riportare il clima a quello che era un secolo fa?

Ho scoperto, stamane, che, per il solo fatto di respirare, in un anno introduco nell’atmosfera tanta Co2 quanta ne produce la mia auto percorrendo 10.000 Km.  Gli inquinatori siamo noi, uomini, che per vivere dobbiamo consumare energia in mille forme, produrre cibo e una miriade di beni, in astratto anche non indispensabili, ma a cui non sapremmo rinunciare. Chi può dire ai cinesi, agli indiani e alle moltitudini di poveri del mondo che non hanno diritto a vivere come gli occidentali? Qualcuno ci arriverà prima, altri dopo, ma nessuno invertirà il cammino.

Nel 1900 il pianeta contava 1 miliardo e 600 milioni di abitanti. Dopo cinquant’anni, nonostante due guerre mondiali, la spagnola, i milioni di morti provocati da carestie e cataclismi, erano 900 milioni in più. Oggi siamo quasi 8 miliardi. Tutti respiriamo. Tutti, o quasi, abitiamo un luogo specifico, ci nutriamo, ci curiamo. Tutti vorremmo apprendere, viaggiare e divertirci come e più di quanto non facciamo oggi.  Dai governanti pretendiamo il progresso indefinito e- ovviamente – che salvino la terra.

Di fronte al problema immane, i capi di stato non hanno trovato parole convincenti. Tuttavia, andare in piazza accusandoli di “bla-bla-bla” è un’altra forma di vaniloquio.

Solo chi troverà soluzioni si porterà dietro le parole giuste.

 

9 novembre 2021