Forme e condizioni di autonomia per un nuovo regionalismo:ne abbiamo davvero bisogno? di Alessandro Singetta

Forme e condizioni di autonomia per un nuovo regionalismo:ne abbiamo davvero bisogno?

 

Nel dibattito politico torna, a fasi alterne, la discussione sul regionalismo differenziato.

Discussione che potrebbe – apparentemente – sembrare rivolta solo agli addetti ai lavori ma che, al contrario, per le varie implicazioni sia di natura tecnica che politica, potrebbe rappresentare una base di partenza per ridisegnare non solo e non tanto le competenze regionali, ma anche indicare quali siano gli obiettivi che le Regioni si pongono e quali le strade da percorrere per raggiungerli.

Strade ed obiettivi piuttosto confusi negli ultimi tempi, con una programmazione ferma ormai da tempo (chi ricorda quando è stato predisposto l’ultimo piano di sviluppo?) e Regioni sempre più in crisi, non in grado di offrire risposte alle tante problematiche emerse ed emergenti (lavoro, occupazione, ambiente, fuga dei giovani, spopolamento, etc.,etc.), soprattutto al Sud.

Ed allora ben venga un rinnovato interesse per parlare del c.d. “regionalismo differenziato” o “asimmetrico”, dal momento che è evidente – da tempo – come esista un regionalismo a doppia velocità, con le regioni del nord che fanno da traino e quelle del sud che vanno avanti (?) tra mille difficoltà.

Anche se non vi è dubbio che lo sviluppo accelerato di alcune regioni finisce con il portare dei benefici anche alle altre regioni, non esistendo un sistema di economia “chiusa”.

La riforma del titolo V della Costituzione, operata con la L. 3/2001, pur mantenendo la caratterizzazione della specialità in favore delle cinque Regioni,  afferma nel nuovo art.116 che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre Regioni”.

Il che significa un ampliamento delle competenze amministrative e legislative nelle materie di legislazione concorrente ex art.117, com.3, nonché nelle materie di legislazione esclusiva.

L’unica condizione posta è che le Regioni abbiano i conti in ordine (il che, almeno per il momento, non sembra il caso di molte). 

Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: abbiamo bisogno di nuove e maggiori competenze o non sarebbe meglio cercare di far valere, effettivamente, quelle attuali?

Con la ormai non più tanto recente modifica legislativa introdotta dal Governo Renzi, le Regioni hanno, di fatto, visto di molto limitati i loro poteri, soprattutto in relazione alla possibilità di sfruttare in completa autonomia la risorsa più ambita presente nel sottosuolo, ovvero il petrolio.

Quali voci si sono mai alzate in parlamento per scongiurare che tali rischi divenissero certezze? Chi si è mai prodigato per far si che le problematiche ambientali non rimanessero limitate a poche voci dissonanti, ma potessero essere al centro di un serio dibattito politico? Ovvero: non è forse meglio, anziché rincorrere nuove competenze, far “valere concretamente” quelle che già abbiamo?

Continuare a contrapporre Nord-Sud costituirà un ulteriore elemento di crisi, volto ad aggravare il già difficile momento che stiamo vivendo.

Potenza 19 novembre 2021

Alessandro Singetta