Le considerazioni di Giovanni Monchiero della settimana.

Riti  romani

Nessun riferimento alla celebrazione del Santo Natale. Si tratta di consuetudini laiche, riferite a fatti importanti del mondo della politica, consolidate nel tempo, non prive di una loro solennità.

Cominciamo dal balletto delle cifre dello sciopero generale, proclamato da CGIL e UIL e non dalla CISL; evento piuttosto raro da mezzo secolo in qua. Tanto da indurre in errore i redattori del prestigioso “Corriere della Sera” che in una didascalia alla foto della manifestazione romana parlano di “sciopero di CGIL,CISL e UIL”: la forza dell’abitudine.  I sindacati proclamano adesioni all’85%, Confindustria ribatte il 5. La disparità di vedute fra  controparti sta nella natura delle cose, ma stavolta pare decisamente eccessiva. Come forse si conviene ad uno sciopero “politico”, fatto contro un governo “tecnico”, in un momento di emergenza nazionale. Un tempo, per lo sciopero generale, si bloccava il Paese e i manifestanti inondavano piazza S. Giovanni in Laterano. Oggi, molte bandiere, molti palloncini, non tantissime persone nella più raccolta piazza del Popolo. Ma i riti hanno una loro forza anche quando la gente è stanca e non capisce: le iperboli sui numeri stanno nella tradizione.

Ha già superato la quarantina la legge finanziaria e bisogna dire che gli anni se li porta bene: è sempre uguale. Nemmeno Draghi, possente figura tecnica, apprezzato da tutti, persino dagli Inglesi (il Financial Times gli ha dedicato un articolo ammirato, quasi agiografico!) è riuscito a modificarne l’iter, riportando la legge alla serietà connessa, almeno nelle intenzioni, alla sua istituzione. Invece siamo sempre alle solite: migliaia di emendamenti, stampati in corposi volumi, sui quali la Commissione Bilancio passa giorni e notti insonni;  le centinaia di milioni di Euro concessi dagli arcigni contabili del MEF al Parlamento perché ne disponga liberamente,  in mille rivoli e rivoletti di dubbia efficacia economica ma di probabile presa clientelare;  il maxiemendamento finale, con il quale il Governo recepisce una parte delle proposte traducendole in un articolo unico, di centinaia di commi, per tutti illeggibile, tranne che per una strettissima cerchia di burocrati e per qualche politico portatore di  lunga e specifica esperienza.

 L’impegno della finanziaria assilla deputati e senatori nel periodo delle feste natalizie, ma quasi sempre la legge viene trionfalmente varata entro il termine prefissato del 31 dicembre. In modo da evitare, al Paese, l’esercizio provvisorio e di consentire ai parlamentari di celebrare il cenone di Capodanno con la coscienza del dovere compiuto. Con Draghi, sperano di farcela per Natale. Glie lo auguriamo di cuore.

Infine, puntuale e scontata come un “coccodrillo”, la foto-notizia dell’Aula di Montecitorio deserta  ( è più ampia di quella del Senato e rende meglio il senso di vuoto) durante la discussione generale della legge sull’eutanasia, con annessi commenti grondanti sdegno. Sempre uguali. Si direbbe lo stesso commento già letto per una qualche altra legge importante, rapidamente adattato alla nuova circostanza.

I giornalisti parlamentari lo sanno benissimo che la discussione generale non interessa a nessuno. Il parlamento è il luogo in cui tutti hanno diritto di parlare e nessuno l’obbligo di ascoltare. Si tratta di una formalità – quasi sempre relegata al lunedì pomeriggio – che avvia l’iter dell’esame in aula di una proposta di legge. I quattro parlamentari presenti sono l’oratore, i due che dovranno intervenire dopo e il collega che ha appena concluso e che, per educazione, di solito si trattiene ad ascoltare l’intervento di chi lo segue. È sempre stato così. E così rimarrà fino a quando non sarà abolito questo rito sostanzialmente inutile.

Mi capita sotto gli occhi un’intervista al Presidente della Camera. L’agenzia gli ha affibbiato un titolo sdegnato che mi suona strano. Dopo un paio di riletture (Fico ha una laurea in Scienza della Comunicazione, che però non gli garantisce di maneggiare al meglio la lingua italiana) constato che, da persona intellettualmente onesta, ha detto cose giuste, senza abbandonarsi a qualunquismi inadatti ad un Presidente.

È solo che non si è espresso bene. Ed il cronista, perfido, nulla ha fatto per venire in suo aiuto.  

 

17.12.2021