Il 6 Gennaio :il primo anniversario dell’assalto a Capitol Hill.

Anniversario

Giovanni Monchiero

Prima che la Befana, la pandemia, la corsa al Quirinale o qualche fattaccio di cronaca lo collochino in una zona d’ombra, vorrei ricordare a tutti che domani è il primo anniversario dell’assalto a Capitol Hill, la sede del parlamento federale degli Stati Uniti d’America.

Nei libri di storia del tempo a venire, il 6 gennaio del 2021 sarà probabilmente ricordato come il preludio della fine della democrazia rappresentativa, cosi come elaborata e vissuta nel mondo occidentale – con molte crisi e qualche terribile interruzione –   dalla rivoluzione americana in qua. E qualche saggio definirà un beffardo paradosso della storia la circostanza che la democrazia sia morta proprio là dove orgogliosamente era nata.

Non si dovrebbe – lo so – parlare del futuro con tanta sicurezza. Mi sono lasciato andare a questo facile espediente retorico per sottolineare come, nel presente, quei fatti siano stati praticamente rimossi ed il grido d’allarme da essi suscitato si sia spento nell’indifferenza.

Sì, c’è stato un maldestro tentativo di impeachment a fine mandato, destinato al fallimento; è seguita qualche estemporanea iniziativa giudiziaria che accusava il Presidente di essere il mandante di quella rivolta, ma Donald Trump è sempre lì, alla guida del Partito Repubblicano all’interno delle istituzioni e a capo dell’opposizione populista nel paese reale.

L’antica democrazia americana che si fonda sul principio della massima libertà individuale compensata dalla severità e rapidità della sanzione, non è riuscita a punire il presidente che ha violato i principi della carta costituzionale e nemmeno gli esecutori materiali del crimine. Pochissimi sono realmente finiti in galera. I più hanno beneficiato di una sorta di benevolenza indotta dagli aspetti folkloristici della protesta. Erano lì per impedire la proclamazione del nuovo Presidente, ma, a guardarli, più che rivoluzionari sembravano dei poveri cretini, aggressivi ma non politicamente pericolosi.

L’evento senza precedenti ha  suscitato una vasta eco nel mondo e grandi preoccupazioni specie nelle potenze rette da governi non democratici. Riferiscono le cronache di una lunga telefonata del gen. Milley, Capo di stato maggiore congiunto delle Forze Armate statunitensi, con il suo omologo cinese che non riusciva a credere che il nuovo presidente sarebbe sopravvissuto a quella rivolta senza perdere la propria capacità di governo. A quel mix di confucianesimo, leninismo e capitalismo che costituisce l’ideologia del potere cinese – che non tollera rivolte ed è comunque severo anche con la sfera delle libertà dei singoli – tutto ciò sembrava assurdo.

Noi occidentali, invece, passata l’emozione del momento, ci culliamo nell’illusione che la democrazia sia irreversibile. A chi evoca nazismo e fascismo, si obietta che quei totalitarismi si imposero su democrazie fragili, dopo la catastrofe della prima guerra mondiale. Oggi la democrazia è più radicata, le notizie circolano istantaneamente, i social consentono a tutti di comunicare con tutti e, se del caso, di chiamare a raccolta il popolo in difesa delle istituzioni.

Rappresentazione che ci allontana dall’essenza del problema. Nei paesi occidentali un colpo di stato appare estremamente improbabile. La democrazia non sarà abbattuta con la violenza, morirà di morte naturale, per consunzione.

I segni premonitori non mancano. La disaffezione dal voto e dalle istituzioni; un individualismo narcisistico che non induce a riconoscere i meriti altrui né ad individuare qualcuno in grado di rappresentarci; la sovraesposizione alle informazioni che rende credibile qualunque notizia, proclamabile qualsivoglia verità, negabile ogni certezza, ipotizzabile qualsiasi complotto.  

Le nuove forme di comunicazione che la tecnologia ha messo a disposizione di tutti all’alba di questo millennio hanno radicalmente cambiato le relazioni interpersonali e minato i principi su cui si basa la democrazia rappresentativa.

Nella storia, altre forme di democrazia si sono rivelate utopistiche o si sono rapidamente evolute in tirannidi, in particolare la cosiddetta democrazia diretta che pure mantiene un grande fascino agli occhi di molti. C’è confusione nel dibattito politico. È indispensabile generare anticorpi a difesa della democrazia e lo si può fare solo con il pensiero, non con una pillola.

Prendiamo sul serio l’avvertimento che ci è venuto da Washington. Lasciamo perdere la Befana e, ogni anno, dedichiamo il sei gennaio ad una sorta di epifania della democrazia,  descriviamone la bellezza, ricordiamone i meriti, proclamiamone la necessità.

 

 

5 gennaio 2022