Il conto della pace di G.Monchiero
L’idea che le prove rendano migliori è una delle convinzioni più solide tramandate nei secoli e giunte sino a noi. La necessità aguzza l’ingegno, si diceva, e le tragedie, le carestie, persino le guerre ci aiutano a migliorare. Dopo la seconda guerra mondiale, prima vera “guerra totale” con spaventose stragi di civili, una generale volontà di pace aveva dato vita a nuove istituzioni internazionali votate a tutelarla. In occidente, all’interno degli stati prima dominati da dittature, aveva suscitato un concorde cammino verso la democrazia. La nostra carta costituzionale ne è un magnifico esempio.
Anche di questa guerra si va dicendo che fornirà all’Europa preziosi insegnamenti. Su quanto sia necessario rafforzare l’unione ed acquisire in comune energia e materie prime per garantire l’attività delle nostre industrie; su come sia saggio scegliere con prudenza i propri partner economici e non mettersi nelle mani di prepotenti e taglieggiatori; sull’opportunità di rafforzare la nostra capacità di difesa dotandoci di un esercito comunitario.
Lodevoli intenzioni, ma ogni percorso di miglioramento presuppone una capacità di sacrificio – in fatica, in tempo, in denaro, in convinzioni – che non è più patrimonio diffuso dell’uomo occidentale. È bastato un accenno all’onere conseguente alla vagheggiata difesa comune, che molti si sono scoperti pacifisti. Soldi per le armi mai ! – ha tuonato qualche leader politico – prima dobbiamo pensare ai poveri, alle bollette, alle partite IVA, alle famiglie.
Ieri il Governo ha ottenuto una larghissima maggioranza sul Decreto legge che prevede l’invio di armi all’Ucraina. Le armi si possono regalare ma non comperare ? Sembrerebbe una curiosa variante del pensiero pacifista, ma è solo l’ultima giravolta dell’opportunismo che è la stella polare di tutti i demagoghi.
Non votare il DL significava crisi di governo, ipotesi moralmente ripugnante in un momento così delicato. Ma non è stata l’etica a illuminare il subitaneo ripensamento, quanto lo spauracchio di elezioni anticipate, innominabili in questo parlamento.
Superato l’ostacolo, rimane il tema di fondo, che non è il pacifismo. Predicare e praticare la pace è una cosa seria, per uomini grandi. Da Francesco d’Assisi a Gandhi, a Martin Luther King, a Desmond Tutu – l’ispiratore della politica di conciliazione di Nelson Mandela, recentemente scomparso – la pace è innanzitutto un moto dello spirito che impronta le scelte contingenti con la forza dei principi.
Chi, tra noi, non vuole spendere per la difesa non lo fa per ragioni così elevate. La difesa della patria è sacro dovere del cittadino ( art. 52 della Costituzione), bisognerebbe ogni tanto ricordarlo. In questo momento non siamo chiamati alle armi, ma solo a mettere mano al portafoglio . Per sostenere le sanzioni, per assistere milioni di profughi, per collaborare ( speriamo presto) alla ricostruzione, per dotarci di sistemi di difesa atti a scoraggiare futuri, non improbabili aggressori.
La ricchezza disarmata, in un mondo dove moltissimi, russi compresi, sono più poveri di noi, non è portatrice di pace. Da tre quarti di secolo godiamo di prosperità e sicurezza garantite dai soldati e dalle armi degli Stati Uniti d’America che da qualche tempo chiedono più fattiva collaborazione. L’esercito europeo risponderebbe a questa esigenza e rinsalderebbe lo spirito unitario di una convivenza a volte difficile. Una scelta che avrà i suoi costi. Rifiutarsi di pagare il conto lo chiamerei parassitismo, non pacifismo.
Il pacifismo integrale di Francesco d’Assisi si fondava su totale fede in Dio e infinito amore per le creature, primo fra tutte l’uomo. Al di là della forza morale delle sue convinzioni, se lo poteva permettere perché viveva in povertà assoluta. E non lasciava conti da pagare.
1 aprile 2022