Ricordo di Franco Bartolomei:Reminiscenze di colloqui del “Secolo Scorso”
Senza Libertà, nessuna Dignità;
Senza Umiltà, nessuna Verità.
Franco Bartolomei, avvocato e giurista, ordinario di diritto amministrativo nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Macerata,.
Autore di opere giuridiche, tra cui La dignità umana come concetto e valore costituzionale, del 1992, ha pubblicato i romanzi L’incarcerato di Montacuto, Spirali, Milano 1995 e Magistrati del malefizio, Spirali, Milano 2000.
REMINISCENZE DI COLLOQUI DEL SECOLO SCORSO
Formazione, funzione e qualità del Giurista
A volte occasionalmente a volte volontariamente – annoverandomi con la
presunzione dei ventenni tra la “juventute cupidae legum”, cui Giustiniano dedicò la
celeberrima codificazione del diritto romano – son stato sovente spettatore attento di
numerosi colloqui intercorsi tra Franco Bartolomei ed il Maestro Massimo Severo
Giannini (1915-2000), che mio Padre ebbe a conoscere di persona nel 1962 all’atto
della chiamata a ricoprire la cattedra di diritto amministrativo in facoltà giurisprudenza
“sapientina” di Roma, e poi ebbe modo di frequentarlo diuturnamento, dal periodo di
assistentato negli anni 60 sino alla scomparsa. Mio Padre me lo additato quale suo faro
di riferimento, da prima del mio approdo nelle aule dei giurisperiti, ed interlocutore
costante da cui attingeva insegnamenti e impostazioni all’avanguardia nello studio del
diritto amministrativo e non solo. Infatti Egli insegnò, oltre alla materia principe,
scienza delle finanze, tecnica dell’amministrazione, diritto pubblico dell’economia,
diritto costituzionale e anche teoria generale del diritto.
Franco Bartolomei ha condiviso il percorso di Grandi cattedratici, quali appunto MS
Giannini e Aldo Sandulli, di tornare alla vigilia del collocamento fuori ruolo per
anzianità, all’insegnamento del diritto costituzionale, come ritorno alla fonte del diritto
amministrativo e recupero dell’approccio iniziale con gli studenti, convinti
dell’indissolubilità di tali discipline (cfr. Introduzione al diritto costituzionale, Bulzoni
Roma 1984, appunti dalle lezioni; I pubblici poteri, Il Mulino Bologna 1986).
Nell’arco di un ventennio, a margine di convegni, eventi accademici e
commemorazioni (ad. es. incontro 1984 a dieci anni dall’operatività dei TT.AA.RR, la
cui legge istitutiva Giannini aveva stigmatizzato come precipitato lacunoso di
“infingardo legislatore”; incontro svoltosi nell’Aula, oggi intitolata al Maestro e
contenente la biblioteca da lui donata alla facoltà capitolina), ho assistito a loro scambi
di opinioni, a richieste di spunti e suggerimenti da parte paterna, non solo su questioni
giuridiche specifiche, bensì pure su argomenti generali. Di tali colloqui mi son rimasti
impressi specialmente quelli vertenti su formazione e funzione del Giurista, nel
contesto socio-politico ed universitario di fine secolo scorso, dove la diffusione degli
studi di massa aveva depresso il livello dei laureati in giurisprudenza dapprima e poi
dei vari operatori del mondo giuridico, secondo il modello matematico della cd. “curva
di Gauss” per cui allargandosi la base, la tendenza alla compromissione dell’eccellenza
è inesorabile.
Il Professore Giannini, studioso di fama internazionale, ha conservato integra la
dedizione spassionata alla ricerca scientifica durante l’intero arco della sua vita
accademica, tanto, ad esempio, da aver sempre declinato la nomina a Giudice
costituzionale perché voleva esser libero di criticare le sentenze della Consulta. Egli
era profondamente convinto che nel bagaglio culturale dell’operatore del diritto prima
e del giurista in senso stretto poi, dovessero necessariamente confluire una varietà
disparata di interessi, stimoli e letture, specialmente afferenti all’ambito delle scienze
storiche e sociali. Il Giurista secondo lui doveva sedere al desco della curiosità
intellettuale e curare il costante aggiornamento del patrimonio professionale.
Ricordo come sulla scia di simile insegnamento esperienziale del Maestro, mio Padre
abbia rivolto particolare attenzione, tra le “nuove discipline”, alla sociologia del diritto,
materia introdotta nei corsi universitari a fine anni 70-inizio 80, mutuandola dalla
tradizione anglosassone; disciplina destinata dapprima ad affiancare e poi quasi a
sostituire l’insegnamento canonico della filosofia del diritto, a mo’ di introduzione alla
teoria generale del diritto, branca orientata a fornire risposta al quesito quid jus?,
rispetto al quid juris?, secondo la dicotomia Kantiana.
Della sociologia del diritto entrambi apprezzavano le elaborazioni dello struttural-
funzionalismo sistemico di T. Parsons nonchè la dialettica nel dibattito culturale tra
Jurgen Habermas, epigono della Scuola di Francoforte, e Niklas Luhmann; serrato
dibattito sfociato nei confronti tenuti presso il Max Planck Institut e testimoniato da
pubblicazione del libro a quattro mani “Teoria della società o tecnologia sociale”
(Francoforte sul Meno, 1974).
Luhmann iniziò ad insegnare a 41 anni all’Università di Bielefeld, e ricordo che quando
è stato insignito di laurea ad honorem presso la facoltà di giurisprudenza
dell’Università di Macerata, ove mio Padre, oltre ad essere professore ordinario di
diritto amministrativo è stato Direttore del dipartimento interfacoltà di diritto pubblico,
venne designato – da A.Febbrajo, allievo italiano e primo traduttore del Tedesco – a
tenere la prolusione, avendo non solo letto ma anche metabolizzato i suoi numerosi
scritti. In tale variegato panorama – che, include persino un saggio su nascita
dell’Amore come passione, nella Francia di Luigi XIV – le opere di Luhmann ritenute
più significative dal Giannini della produzione del teutonico, rispettivamente quanto a
contenuto e metodo, erano “ Sociologia del Diritto” (Bari, 1977) e “Illuminismo
sociologico” (1983).
Di Niklas Luhmann e del suo singolare percorso intellettuale, partito da esperienza di
amministrazione attiva nei gangli dirigenziali del Land della Bassa Sassonia, entrambi
sottolineavano l’intensa “prova su strada” e la proficuità della convinzione
metodologica che la ricerca e l’archiviazione delle fonti rappresenta base prioritaria se
non quasi preminente della produzione scientifica.
Sotto questo profilo, l’alto magistero ed il costante esempio fornito in mezzo secolo
dal Maestro Giannini, è illuminante: giovanissimo cattedratico sulla scia di Santi
Romano, mai si è arroccato nella torre d’avorio della cittadella universitaria, ma dal
1946 è stato capo di gabinetto di Nenni, al Ministero per la Costituente, nel governo
De Gasperi e poi dal 1979 Ministro della Funzione pubblica in Esecutivo Cossiga,
inequivocabilmente testimoniando la vocazione del Giurista di “compromettersi”
(“sporcarsi le mani” in senso sartriano) con l’esperienza sul campo, sia per misurare la
bontà delle proprie soluzioni, inverando nel quotidiano le nozioni elaborate, che
soprattutto per arricchire quel processo di critica e crescita della conoscenza
(P.Feyerabend, T.Kuhn, K.R. Popper+altri, Trad. Feltrinelli Milano 1976) a
fondamento della società aperta e della dialettica della democrazia liberale.
Per un Giurista di spessore, impattare con la realtà è indispensabile, sotto il profilo sia
dell’impegno politico, che della dimensione politico-amministrativa, operando
all’interno di quel “motore immobile” costituito dalla pubblica Amministrazione. E’
stato opinatamente ricordato, all’indomani della scomparsa, che Giannini «ha avuto
una vita ricca e generosa, nella quale si sono sempre intrecciati uno straordinario lavoro
scientifico, una inesauribile passione civile, uno sguardo distaccato e ironico sugli
uomini e sul mondo, l’implacabilità del giudizio e l’attenzione per gli altri»,
ispirandosi al «modello del giurista come scienziato sociale» (S. Rodotà, Addio
Giannini maestro delle riforme, in La Repubblica, 25 gennaio 2000).
Nella fisionomia del Giurista Giannini, risiede il motivo per cui ebbe ad incoraggiare
mio Padre, a svolgere con impegno sia la carica di Assessore all’urbanistica nel
Comune di Grottammare, cittadina rivierasca nel territorio piceno, che di consulente
dell’Assemblea legislativa della Regione Marche, in quanto per lui il Giurista è un
ingegnere sociale, chiamato a coniugare l’applicazione delle norme alla disciplina dei
rapporti intersoggettivi. Il Maestro aveva visto giusto pure in tali occasioni, perchè di
quelle esperienze, cioè del breve ma intenso periodo di amministrazione attiva 1976-
77 e del lavoro da consulente, rimasero a mio Padre profonde esperienze, di cui i
duraturi frutti sono rappresentati dal volumetto intitolato “La commissione edilizia
nell’ordinamento comunale”, vademecum per gli operatori degli enti locali, e dal
decisivo contributo alla stesura della Legge urbanistica regionale 1992, insieme al
recentissimamente scomparso Prof. Valerio Onida Presidente emerito della Corte
costituzionale.
Una delle ultime volte che insieme incontrammo il Maestro, nel suo “secondo” studio
in via del Pellegrino, a Roma, ebbe modo di ribadire il ruolo di assoluta centralità del
Giurista per far funzionare l’assetto sociale, una “chiave di volta” di regolazione
rapporti e di composizione conflitti, in un Paese occidentale a crescente complessità
sociale e interconnessione continentale. Egli tuttavia aggiunse a siffatta definizione,
una condizione essenziale, quella al cui avveramento i civilisti subordinano l’efficacia
del contratto: “a patto che rimanga umile”. Registrai la chiusa, rimanendo un po’
disorientato, giacchè sin ad allora avevo sentito parlare dell’arguzia oppure dell’ironia,
come doti tipiche del Giurista, ma giammai dell’humilitas . Lemma che letteralmente
significa restare attaccati all’humus della terra; l’opposto di superbia e vanagloria
(humilitas occidit superbiam, secondo il brocardo latino le cui iniziali alcuni
intravvedono sul gladio del dipinto caravaggesco di “ Davide con la testa di Golia”
risalente al1509).
Mio Padre nel periodo 1993-2003, al tramonto della sua docenza universitaria, incappò
in tristissima vicenda di malagiustizia nel contesto della stagione di Mani Pulite, per
fatto attinente all’esercizio della libera professione. La vicenda sconvolse la sua vita,
salute psico-fisica e specie la passione per il Diritto, coltivata sin dagli anni giovanili
trascorsi al seguito del Maestro, ma non gli impedì di continuare a tener fede agli
impegni accademici. Tuttavia anche in tale doloroso frangente, non mancò dopo aver
riportato i contorni dell’affaire al Giannini, di chiedere e seguire il suo consiglio
affinchè ne lasciasse testimonianza scritta, a futura memoria. Pure da tale incitamento,
la dedizione alla letteratura forense, con apparizione dei due romanzi giudiziari a
sfondo autobiografico “L’Incarcerato di Montacuto”, Milano 1995, e “Magistrati del
Malefizio”, Milano 2000, entrambi apparsi per i tipi editoriali di Spirali Vel. Infatti la
speranza di riscatto passa esclusivamente attraverso la scrittura; scrivere è resistere,
scrivere come ricompensa della sopportazione e dell’attraversamento della grande
tribolazione, una necessità per darsi forza a continuare a vivere, VIVERE PER
SCRIVERE (Varlam. T.Salamov, Visera,1998, trad.it con Prefazione di R. Saviano,
Milano 2010),
Son passati oltre 25 anni da quegli incontri e tali vicende, il Maestro Giannini è
deceduto nel gennaio 2000 e Franco Bartolomei nel luglio 2005; entrambi convinti che
alla loro testimonianza morale si dovesse accompagnare il lascito permanente del
propri libri e produzioni scientifiche; soltanto ora, alle soglie dell’età tardoadulta,
preludio di parabola discendente, comprendo la peculiarità di quegli informali colloqui
e realizzo la fecondità del loro ricordo; comprendo come fosse nel giusto mio Padre,
ad additarlo quale unico Maestro di scienza e di vita, che la sorte o la provvidenza gli
concesse di incontrare nella stagione delle albari speranze di rinnovamento della
giovinezza.
Docenza e discenza non sono risultate vane, se entrambi Maestro ed Allievo – a sua
volta divenuto Giovane Maestro, sempre secondo locuzione gianniana – nei rispettivi
ruoli e compiti hanno improntato la loro testimonianza a tale virtù: l’Umiltà da
autentico Giurista, che resta sempre pronto all’ascolto di tutti ma irremovibile
dall’affermare la verità, rectius il proprio angolo visuale di Verità, nella
consapevolezza della storicità del fenomeno giuridico.
Roma, 2 luglio 2022
Jacopo Severo Bartolomei