Il “Principio Lavoristico” in Costituzione (Relazione di sintesi) di Jacopo Severo Bartolomei



Lettura romanzata della sua genesi nel Romanzo

“FONDATA SUL LAVORO” di Alfonso CELOTTO

 
Cari Signore e Signori,
mi rivolgo a Voi tutti partecipanti all’odierno evento, in presenza
dell’Autore Professor Celotto, insigne e brillante costituzionalista, per
ringraziarVi di essere intervenuti alla presentazione della sua ultima
pubblicazione, uscita di recente per i tipi della casa editrice
Mondadori ( maggio 2022).

Consentitimi in sintesi – richiamando la “conclusiva brevità” suggerita
da Leonardo da Vinci – rivolgere, come da programma- all’Ospite e a
Voi, gli indirizzi di saluto dell’Assessore regionale alla Cultura, latrice
di messaggio di congratulazioni ed incoraggiamento, on.le Giorgia
Latini nonchè del Sindaco Fabrizio Ciarrapica, appena riconfermato
con ampio margine al turno di ballottaggio delle consultazioni
comunali, che si scusano di non potere esser presenti, pur
partecipando moralmente alla riuscita dell’iniziativa.

Bisogna riconoscere ad Alfonso Celotto l’innata versatilità, di riuscire
a trattare, ora nelle forme del saggio (“L’Enigma della successione.
Ascesa e declino del Capo da Diocleziano a Enrico De Nicola”,
Feltrinelli-Milano 2021) ora in quelle del romanzo a sfondo
costituzionale, come per FONDATA SUL LAVORO (Mondadori-
Milano 2022), argomenti collegati con la vita costituzionale del Paese,
nel mentre le problematiche ad essi sottesi si ripropongono
all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale.

L’art. 1, comma primo, Costituzione italiana – l’incipit eponimo se si
trattasse di Enciclica papale- recita solennemente che “ L’Italia è una
Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

La disposizione di apertura della Carta fondamentale, come gli
studiosi hanno avuto modo di evidenziare sin dai primi anni risalenti
ai tempi dell’Assemblea costituente, recepisce e sancisce il principio
distintivo della nostra forma di Stato: il principio lavoristico, per cui
il lavoro rappresenta il fondamento sociale e valore basilare della
Repubblica, che consente di superare ogni altra forma di
discriminazione sociale.

In tale prospettiva, il lavoro rappresenta non
solo il mezzo principale di affermazione del singolo e di
estrinsecazione della sua personalità, ma lo strumento generale di
progresso sociale, uno dei principali diritto-dovere dell’individuo.

Il Maestro Giannini disse che nel lavoro è racchiuso il titolo di
legittimazione sociale del cittadino, non riconoscendo più la
Repubblica alcun valore selettivo al censo, a privilegi di nascita o
all’appartenenza a caste e corporazioni.

Il lavoro, ampiamente inteso, diventa quindi la cartina di tornasole
della pari Dignità sociale di ogni individuo. Sempre secondo felice
locuzione del Giannini, la nostra Costituzione nel gruppo dei 12
articoli dedicati ai Principi fondamentali della Repubblica”,
caratterizzante l’assetto ordinamentale e rappresentante il nocciolo
duro, intangibile pure in sede di revisione, delle disposizioni di grado
costituzionale non è scevra dall’uso di “proposizioni enfatiche”,
espressioni di retorica politica. Tali proposizioni, secondo la
tradizione del costituzionalismo francese, avrebbero potuto trovare
allocazione

più appropriata nella redazione di un Preambolo, assente
nella nostra Carta fondamentale entrata in vigore nel 1948. Tuttavia
l’art. 1, al pari degli altri Principi fondamentali, ed il principio
lavoristico ivi canonizzato si pone come Supernorma, supremo
criterio interpretativo delle altre disposizioni di rango costituzionale e
quindi dotate del medesimo grado di resistenza ai procedimenti di
revisione, di cui è munita la forma repubblicana dello Stato, ai sensi
dell’art. 139 cost. (posizione di Vezio Crisafulli).

Che il suo riconoscimento abbia rappresentato più un fatto letterario
che giuridico, tale da non concorre a determinare la struttura
costituzionale dell’ordinamento (C. Esposito), è una tesi avallata dalla
giurisprudenza costituzionale univoca nello screditare le
argomentazioni fondate sul principio lavorista , in quanto il dettato
dell’art. 1 Cost. afferma sì “la preminenza di ogni attività lavorativa nel
sistema dei diritti-doveri spettanti ai cittadini” (sentenza n.60 del
1967) ed il valore assurge a “valore primario della Repubblica
democratica” (sent. n.83 del 1979), pur tuttavia la disposizione in
questione afferma

solo “un principio ispiratore della tutela del lavoro,
non vuole determinare i modi e le forme di questa tutela”, rimessa
all’ambito di ampia discrezionalità del legislatore ( sent. n.16 del
1980); in ogni caso al lavoro non può esser attribuito “un significato di
esclusività” essendo presente in Costituzione anche variegata gamma
di altri valori diversi (sentt.ze nn. 14 del 1980 e 185 del 1981).

Compito del giurista e dell’interprete costituzionale è quello di far
vivere dette disposizioni a livello di “costituzione materiale” ,secondo
il concetto elaborato dal Prof. Costantino Mortati, forse il più Illustre
giurista fra i Padri costituenti, in un libro scritto durante la proficua
docenza all’Università di Macerata, altrimenti anche il cardine
rappresentato dal concetto di Democrazia, finisce per essere una
declinazione buona per tutte le occasioni, un concetto impiegato
come “un dentifricio” (MSGiannini).

“Democrazia fondata sul lavoro” definisce un dato fondamentale
dell’identità repubblicana , recepito in definizione ove ognuno dei
due concetti

illumina di senso l’altro, il fondamento democratico il
principio lavoristico, e viceversa; dove il lavoro, come nella più
avanzata dottrina sociale cristiana, non è più percepito come
condanna veterotestamentaria, destino ineluttabile, ingranaggio
spersonalizzante, ma momento di affermazione della libertà
dell’individuo e di opzione dell’apporto alla vita sociale in chiaro
collegamento agli art.2 e 3 Cost., col principio personalistico,
pluralistico e solidaristico.

Lo scopo recondito di aver richiamato l’attenzione – sia pure in forma
romanzata sulla travagliata elaborazione del testo dell’art. 1
Cost.,ultima parte, va ravvisato in questo costante sforzo di
implementazione ed avveramento del principio costituzionale
lavoristico, nei diversi contesti sociali ed internazionali.

La mancata approvazione emendamento che voleva definire lo Stato
italiano “Repubblica democratica di lavoratori”, in analogia con le
espressioni usate nelle Costituzione delle democrazie socialiste,

rientranti in orbita dell’influenza sovietica, depone nel senso che la
dichiarazione prescelta non intende assumere carattere classista.

Celotto lega magistralmente le vicende dei singoli protagonisti (Il
Dottore deputato alla Costituente, Carmela la colf/badante, Marcello
neolaureato in giurisprudenza, aspirante magistrato, etc.) sullo
sfondo delle serrate dispute assembleari. IL romanzo riesce a rendere
il clima dell’epoca, contrassegnato dai condizionamenti delle Potenze
internazionali vincitrici del II conflitto mondiale sulla stesura del
testo e sul varo dell’art.1 in particolare, per la valenza politico
programmatica di schieramento, che inevitabilmente il richiamo alla
Repubblica “Fondata sul Lavoro” era destinata ad assumere.

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Venendo più da vicino al Romanzo di intreccio costituzionale qui
presentato, l’Autore preferisce non etichettarlo Giallo o Noir, seppur
una trama di suspense, tipica del genere legal thriller più che
spystory di conio anglossassone, nell’ordito dei capitoli sia
rintracciabile: ma la vicenda che vive di confronti e contrasti, ha il

lieto fine assicurato, da espressione che rappresenta l’incontro, al
livello più alto, del precipitato culturale delle tradizioni madre della
neonata Repubblica: la tradizione cattolica, la liberale e la social-
comunista.

Inoltre, il Prof. Alfonso Celotto, al rigore scientifico ha saputo
abbinare la verve comunicativa, e da Giurista autentico ha dato prova
di saper calar brillantemente concetti astratti e disquisizioni sottili
nelle regolazioni delle situazioni concrete e nel quotidiano delle
relazioni interpersonali, in ciò non venendo meno alla Scuola
dottrinaria giuspubblicistica romana (da Santi Romano a Massimo
Severo Giannini, Carlo Lavagna, Leopoldo Elia) che non ha mai
mancato di sottolineare il dato ineludibile della storicità del diritto.
Alle forze politiche odierne, a quelle più direttamente investite del
compito e responsabilità di governare il Paese nell’epoca del convulso
cambiamento dei primi decenni d’inizio Terzo Secolo D.C., nel 75°
anno dal varo della carta costituzionale, si vuole in via subliminale
additare di cimentarsi a sufficienza con le tante implicazioni del
principio

lavoristico derivante dalla costituzione, al di là del ricorso
ciclico di partiti e movimenti a espedienti programmatici retorico-
demagogici (dal 1994 avvio della fatidica II Repubblica, abbiamo
assistito sia al milione di posti di lavoro promesso dal leader FI/PdL;
che alla prospettata riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori
dipendenti, cavallo di battaglia PD, per finire con “l’abolizione della
povertà” con l’introduzione del reddito di cittadinanza voluto da M5S,
che introduzione quota 100 nel regime pensionistico, in riforma della
cd, Legge Fornero 2012, vivacemente sponsorizzata da lega di Salvini,
in prima effimera stagione del governo giallo-verde);

Al riguardo in scena paradigmatica del romanzo (pgg.53-55) dove la
protagonista Carmela, siciliana trapiantata a Roma, dopo aver
telefonato a casa ed essersi lasciata sfuggire la parola fidanzato nei
confronti di Marcello, aspirante magistrato, viene redarguita e
richiamata dalla Madre a usanza siciliana che il coniuge venga scelto
dai genitori o comunque con il loro espresso beneplacito, il nostro
Autore afferma che il Marcello, senza scoraggiarsi, affronta l’insorto
problema

con approccio pragmatico, tipico dello studioso del
diritto”. Ciò significa che chi si cimenta in generale con lo studio del
diritto ed in particolare il Giurista deve possedere un ampio
armamentario concettuale, atto a farlo costantemente misurare con le
evenienze della realtà sociale e il variegato atteggiarsi delle relazioni
umane, nei diversi contesti.

Il Prof. Celotto, sulla scia dei Grandi giuristi- quale degno e brillante
Allievo del Maestro Franco Modugno, attuale Giudice costituzionale –
dimostra altresì la multiforme estrazione culturaria e la propria
eclettica formazione letteraria e cinematografica (film del
Neorealismo), laddove il cimentarsi con momenti letterari e
l’attingere da rappresentazioni cinematografiche per la ricostruzione
del tessuto sociale dell’epoca non è passaggio occasionale della sua
narrazione dotta (cfr. altro romanzo “Dr. Ciro Amendola, Direttore
Gazzetta Ufficiale), ma riprova che la vera cultura giuridica è
impregnata di stimoli sociali e tutt’altro che arida e settaria.

La sintesi è quella dell’attualità valori costituzionali, in un contesto
totalmente modificato dal febbraio 1947, contesto di ambientazione
delle vicende, a duplice valenza istituzionale e personale, narrate nel
romanzo

Per cui non ci resta che incoraggiarlo di proseguire sulla scia da oltre
un decennio tracciata, di alternare saggi scientifici a romanzi, nella
consapevolezza di poter disporre di un uditorio più vasta, ma sempre
attento – come quello odierno in Civitanova Picena – e desideroso di
apprendere i risvolti e le contingenze umane che si accompaganano
sempre ai grandi eventi istituzionali e alla scrittura del nostro Testo
fondamentale (paradigmatica la parabola di Umberto II, Re di
maggio, nel periodo coevo al referendum istituzionale del 2 giugno
1946, e solo come dopo la sua morte in esilio si sia rimaneggiata la
disposizione transitoria impeditiva accesso discendenti maschi della
Casata sul territorio della Repubblica, norma ormai desueta).

Roma, 11 luglio 2022

 

(*) Il presente scritto è stato originato dalla relazione di
sintesi, in conclusione presentazione libro in Civitanova
Picena addì 8 luglio 2022, in presenza dell’Autore

Avv. Jacopo Severo Bartolomei