La classe dirigente

 Gianni Monchiero

Sabato scorso, il mio conterraneo (punta di orgoglio) Aldo Cazzullo, nel commentare l’exit di Boris Johnson dal n.10 di Downing street, poneva il problema della debolezza delle leadership politiche in occidente, elencando le difficoltà di Macron, confermato presidente e sconfitto, poco dopo, alle politiche, l’inconsistenza di Sholz, impari al confronto con la Merkel, i tormenti di Sanchez che sta a galla solo con l’appoggio dei neofranchisti. Per tacere di Biden, ossessionato dal fantasma di Trump e incapace a ricondurre ad unità, almeno sui grandi tempi politici, un paese mai come oggi diviso.

Chi avesse voluto trarre da queste osservazioni qualche argomento consolatorio per il nostro paese – che un leader prestigioso ce l’ha – è stato prontamente smentito dalle iniziative del Movimento 5 Stelle: il giovedì ha votato al fiducia al governo sul “decreto aiuti” e il lunedì, al voto finale sul medesimo decreto, si è platealmente astenuto uscendo dall’aula.

Stravagante norma quel comma del Regolamento della Camera che, in caso di richiesta di fiducia da parte del Governo su di un suo disegno di legge, prevede due votazioni: una sulla fiducia e una sul provvedimento oggetto della fiducia stessa. Una assurdità (assente nel regolamento del Senato) alla quale i Deputati sono stranamente affezionati, forse perché consente l’esercizio di levantina doppiezza che, a molti politici, deve sembrare una virtù.

Le convulsioni pentastellate, con Conte che non esita a provocare quotidianamente il governo per affermare la propria leadership sul movimento, mai apparsa così debole; le sgroppate di Salvini che soffre la crescita della Meloni, avverte minacciosi malumori interni e spera di esorcizzarli entrambi acquisendo brandelli di  visibilità antigovernativa; le speculari, opposte, agitazioni  dell’estrema sinistra che, in nome della purezza ideologica, dice le stesse cose della destra; l’affollamento al centro di generali e colonnelli senza esercito, che non si sopportano l’un l’altro e non riescono a dar vita ad una alleanza credibile; le incertezze del PD che propone a tutti i vicini un accordo che – come da precedenti – si concretizzerà alla vigilia del voto e si scioglierà con la proclamazione degli eletti; ecco, in rapide pennellate, i protagonisti della politica italiana dopo Draghi. Nella migliore delle ipotesi in primavera, nella peggiore, già in autunno.

Un buon motivo per tenercelo stretto, ovviamente. Ma anche una spinta a domandarci perché. Perché siamo caduti così in basso? Perché la classe politica non riesce più a interpretare il ruolo di classe dirigente, ed è di certo la peggiore fra tutte le élite del paese? E, per tornare allo spunto iniziale, perché questo fenomeno accomuna tutto l’occidente, compresi stati di antica e solida democrazia?

La prima risposta che mi viene in mente è drammaticamente banale: in democrazia i governanti sono eletti. Già Platone, in una pagina notissima, analizzava la fragilità della democrazia, sempre a rischio di degenerare in demagogia e da qui in tirannide.

Da noi il sistema elettorale vigente – il “rosatellum” variante del mitico “procellum”, così battezzato dal suo creatore con una franchezza che non richiede esegesi – ci ha messo del suo, ma non è che all’estero il proporzionale e l’uninominale secco, o a doppio turno, abbiano promosso a rappresentanti del popolo personaggi di particolare qualità. Nella degenerazione delle società occidentali, l’homo tecnologicus, sempre meno sapiens, diffida di coloro che sembrano migliori di lui. Ama la propria solitudine solleticata dalla socialità virtuale, detesta i confronti, non accetta ruoli guida, vuole che il potere sia esercitato da qualcuno in cui possa riconoscersi. I campioni sono amati, a volte idolatrati, i solo nello sport e nello spettacolo: nella gestione della cosa pubblica si scelgono i mediocri.

Noi che abbiamo vissuto i primi decenni della repubblica, ricordiamo un tempo in cui non era così. Dopo la dittatura e la guerra, la gente si appassionò alla democrazia e alla politica. Masse illetterate ma “colte” – con una visione del mondo ancorata a valori solidi e condivisi – seppero esprimere una classe politica di alto livello che, in breve tempo, rigenerò il paese.

Oggi, i grandi leader non ci sono più semplicemente perché non li vogliamo. Se per caso nascesse un De Gasperi, non verrebbe eletto consigliere comunale.

 

13 luglio 2022

  

 

 Perché sono eletti. Nel dopoguerra sapevamo eleggere i migliori, oggi li vogliamo uguali a noi

De Gasperi, non diventerebbe consigliere comunale,

poco istruiti ma colti, con visioni del mondo, valori etici, attenzione al bene comune