“I gravi rischi per la tenuta del tessuto imprenditoriale”
tratto dal numero del mercoledì, 9
Novembre 2022
Novembre 2022
La difficile congiuntura economica, i gravi rischi per la tenuta del tessuto imprenditoriale
italiano e la necessità che il risparmio privato si indirizzi verso il sistema produttivo.
Prof. Livolsi, la Fed come le altre grandi banche centrali è impegnata in un delicato gioco di
equilibrio: da una parte la lotta serrata all’inflazione e dall’altro lato evitare che la battaglia
scateni una nuova serie di minacce, inclusa una pericolosa instabilità finanziaria. I banchieri
centrali sono consapevoli che in assenza di un’azione forte ora sui prezzi, il rischio è di dover
procedere in modo ancora più aggressivo dopo. Quali sono i rischi nell’attuale contesto
economico?
Sia la Fed che la Bce interverranno ancora sui tassi riducendo liquidità. L’inflazione americana
resta alta, l’8,2% a settembre, ai massimi da 40 anni. La settimana scorsa la Federal Reserve
ha aumentato il costo del denaro, portando i tassi di interesse di riferimento al 3,75-4%. Va
detto che i dati sulla occupazione Usa riaccendono le speranze di un rialzo più leggero dei
tassi americani a dicembre, anche se il numero degli occupati a ottobre è salito, a 265mila
unità, ben oltre le stime, ma ci sono segnali che indicano che il mercato del lavoro
statunitense sta rallentando: il tasso di partecipazione è sceso e la retribuzione oraria media è
in calo. Stessa posizione quella della Bce, la cui presidente Christine Lagarde ha ricordato che
il percorso e il ritmo degli aumenti dei tassi sarà deciso riunione per riunione. “Puntiamo – ha
affermato Lagarde – a un tasso di interesse che consenta di raggiungere l’obiettivo di
inflazione a medio termine del 2%. La meta è chiara, ma non siamo ancora arrivati. Avremo
ulteriori aumenti dei tassi in futuro”. Se è vero che l’inflazione Usa e quella europea hanno
cause diverse (la prima è sostanzialmente dovuta alla domanda, la seconda al costo
dell’energia e delle materie prime), più in generale la situazione in un mondo interconnesso
come l’attuale è preoccupante: ovunque le conseguenze prima della pandemia e poi della
guerra russa in Ucraina continuano a farsi sentire e il rischio di recessione è alle porte.
Moody’s in un recente report dedicato alle prospettive delle banche in Italia ha citato l’aumento
dei prezzi insieme all’impatto della guerra in Ucraina e della crisi energetica fra i fattori che
porteranno la crescita italiana a zero nel 2023, dopo il 2,7% stimato quest’anno. Una delle
conseguenze è che l’agenzia di rating di New York ha abbassato da stabile a negativo l’Outlook
sul settore bancario. Venerdì scorso il nuovo Governo presieduto da Giorgia Meloni ha
presentato la Nadef, Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza.
italiano e la necessità che il risparmio privato si indirizzi verso il sistema produttivo.
Prof. Livolsi, la Fed come le altre grandi banche centrali è impegnata in un delicato gioco di
equilibrio: da una parte la lotta serrata all’inflazione e dall’altro lato evitare che la battaglia
scateni una nuova serie di minacce, inclusa una pericolosa instabilità finanziaria. I banchieri
centrali sono consapevoli che in assenza di un’azione forte ora sui prezzi, il rischio è di dover
procedere in modo ancora più aggressivo dopo. Quali sono i rischi nell’attuale contesto
economico?
Sia la Fed che la Bce interverranno ancora sui tassi riducendo liquidità. L’inflazione americana
resta alta, l’8,2% a settembre, ai massimi da 40 anni. La settimana scorsa la Federal Reserve
ha aumentato il costo del denaro, portando i tassi di interesse di riferimento al 3,75-4%. Va
detto che i dati sulla occupazione Usa riaccendono le speranze di un rialzo più leggero dei
tassi americani a dicembre, anche se il numero degli occupati a ottobre è salito, a 265mila
unità, ben oltre le stime, ma ci sono segnali che indicano che il mercato del lavoro
statunitense sta rallentando: il tasso di partecipazione è sceso e la retribuzione oraria media è
in calo. Stessa posizione quella della Bce, la cui presidente Christine Lagarde ha ricordato che
il percorso e il ritmo degli aumenti dei tassi sarà deciso riunione per riunione. “Puntiamo – ha
affermato Lagarde – a un tasso di interesse che consenta di raggiungere l’obiettivo di
inflazione a medio termine del 2%. La meta è chiara, ma non siamo ancora arrivati. Avremo
ulteriori aumenti dei tassi in futuro”. Se è vero che l’inflazione Usa e quella europea hanno
cause diverse (la prima è sostanzialmente dovuta alla domanda, la seconda al costo
dell’energia e delle materie prime), più in generale la situazione in un mondo interconnesso
come l’attuale è preoccupante: ovunque le conseguenze prima della pandemia e poi della
guerra russa in Ucraina continuano a farsi sentire e il rischio di recessione è alle porte.
Moody’s in un recente report dedicato alle prospettive delle banche in Italia ha citato l’aumento
dei prezzi insieme all’impatto della guerra in Ucraina e della crisi energetica fra i fattori che
porteranno la crescita italiana a zero nel 2023, dopo il 2,7% stimato quest’anno. Una delle
conseguenze è che l’agenzia di rating di New York ha abbassato da stabile a negativo l’Outlook
sul settore bancario. Venerdì scorso il nuovo Governo presieduto da Giorgia Meloni ha
presentato la Nadef, Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza.
Il sistema Italia collasserà?
Le scelte del Governo vanno lette anch’esse in riferimento all’incertezza di cui abbiamo detto,
anche se per esempio c’è la notizia positiva del Pil, per il 2022 previsto al 3,7%, superiore al
3,3% stimato dal Governo Draghi. L’obiettivo prioritario è quello di superare l’inverno e
l’ostacolo del caro bollette per evitare che il sistema Paese collassi. La scelta fatta da Palazzo
Chigi è quella di decidere momento per momento. Circa 32 miliardi, tra la fine del 2022 e il
2023-2024 saranno destinati al contrasto del caro energia. La situazione è ambivalente. Da un
lato L’Esecutivo potrà contare sul tesoretto di 9,5 miliardi lasciato dal Governo Draghi per
finanziare il nuovo Decreto Aiuti per imprese e famiglie, dall’altro 22-23 miliardi saranno liberati
grazie alla scelta di aumentare il deficit per il 2023 al 4,5% e destinati a finanziare la legge di
Bilancio. Giancarlo Giorgetti, neoministro del Mef, non poteva fare altrimenti, i conti pubblici da
un lato sono cresciuti per maggiori entrate e l’insperato aumento del Pil, dall’altro lato
l’innalzamento dei tassi pesano sul Bilancio dello Stato. Per uscire da questa incertezza,
servirebbe una nuova visione industriale, anche se l’attuale è un momento difficilissimo. Una
scelta che invece ha provato a fare la Germania, con la visita a Pechino del cancelliere tedesco
Olaf Scholz, accompagnato dai vertici delle maggiori aziende tedesche, con l’obiettivo di
rafforzare i legami economici sino-tedeschi in una congiuntura che vede la Germania in
difficoltà per le conseguenze della guerra in Ucraina. Al dì là delle polemiche per il fatto che la
Cina stia sfidando strategicamente la Nato e per le sue posizioni pro-Russia, pragmaticamente
Berlino si è smarcato dai partner europei e cerca di aumentare le sue quote di export nell’ex
Celeste Impero.
Con i tassi che salgono così, i pericoli di una recessione aumentano. Il primo rischio è quello
della stabilità finanziaria in un momento in cui i mercati sono particolarmente volatili, e la crisi
di liquidità da parte delle imprese aumenta l’indebitamento, ma con tassi più alti, questo non
può portare un tessuto produttivo bancocentrico al collasso, in particolare per quanto riguarda
l’Italia?
È uno dei rischi maggiori per le imprese e la nostra economia. Le nostre realtà produttive si
indebitano sempre in un momento in cui le banche stanno rivedendo le politiche di rischio del
finanziamento. Come indica Lei nella sua precedente domanda, Moody’s ha abbassato da
stabile a negativo l’Outlook sul settore bancario. Uno degli annosi problemi delle Pmi italiane è
che soffrono di mancanza cronica di capitali e ricorrono di continuo alla leva bancaria. A parità
di dimensioni medie, le nostre Pmi fanno impresa con il 17% di capitale proprio, mentre in Usa
e Regno Unito si ha una media del 70%, e gli altri Paesi Ue si collocano intorno al 40%. Le
nostre aziende hanno problemi di capitale, non possono investire in crescita, innovazione e in
manager capaci e rischiano di essere acquisite da aziende estere. Bisogna spingere le
imprese ad apportare più capitale con conseguenti minor imposte sul reddito. Dall’altro lato
bisognerebbe incentivare i privati a investire nel capitale delle imprese, delle Pmi e più in
generale delle non quotate. Esistono già strumenti nuovi in questo senso, come i Pir – Piani
individuali di risparmi- ma si rivolgono soprattutto a società quotate. In generale serve una
politica che canalizzi e spinga gli italiani a investire nelle aziende parte dei circa 1.700 miliardi
di liquidità, pari a quasi il Pil italiano complessivo, che tengono sul loro conto.
La crisi finanziaria del 2008 ha evidenziato l’importanza di un sistema finanziario stabile. Ha
causato l’interruzione del flusso di denaro nell’economia e l’instabilità dei mercati finanziari;
era molto difficile ottenere un finanziamento, con grave disagio per cittadini e imprese. Per
contribuire a mantenere stabili i prezzi, abbiamo ridotto i tassi di interesse e iniziato a
introdurre nuovi strumenti. Queste decisioni, insieme a quelle dei responsabili delle altre
politiche, hanno aiutato l’economia ed il sistema finanziario a ripartire. Oggi la medicina per far
ripartire l’economia oltre a tener a bada i prezzi alzando i tassi, quale potrebbe essere secondo
Lei, anche per l’Italia?
La situazione internazionale, come abbiamo detto, è caratterizzata da una profonda incertezza
legata all’inflazione, al caro energia, alla guerra russa in Ucraina; è molto interconnessa e le
scelte e le politiche delle istituzioni monetarie non possono che essere prese step by step.
Tutto ciò non deve però fare dimenticare la necessità delle riforme strutturali, come quelle che
ha dettato l’Unione europea con Next Generation EU e che anche gli Usa avevano previsto e che
poi sono state ridimensionate dopo l’invasione russa del 24 febbraio dell’Ucraina e la guerra
che ne è derivata. Prima o poi si arriverà a una soluzione del conflitto e allora potremmo
ritornare a parlare con più determinazione di strategie di medio periodo. Per la nostra nazione
io e altri esperti ed economisti abbiamo proposto un “Patto per l’Italia”, che spinga, come detto,
i privati a investire i loro risparmi nelle nostre imprese. Concretamente, il nostro Paese
necessita di riforme strutturali da realizzare anche con modifiche costituzionali. Deve liberarsi
del sistema dei privilegi e delle lobby da cui è frenata. L’obiettivo è dare un futuro ai nostri
giovani in Italia. Così potremo anche riavvicinare i cittadini alla politica e al voto. Serve fiducia,
anche per attrarre investimenti stranieri e nel contesto dell’Ue. È essenziale predisporre un
piano di medio periodo, che preveda investimenti in infrastrutture sostenibili, consegua una
severa spending review e compia riforme improcrastinabili, a partire da quelle dell’istruzione,
della giustizia e del fisco, equo ma che crei le condizioni per lo sviluppo
Le scelte del Governo vanno lette anch’esse in riferimento all’incertezza di cui abbiamo detto,
anche se per esempio c’è la notizia positiva del Pil, per il 2022 previsto al 3,7%, superiore al
3,3% stimato dal Governo Draghi. L’obiettivo prioritario è quello di superare l’inverno e
l’ostacolo del caro bollette per evitare che il sistema Paese collassi. La scelta fatta da Palazzo
Chigi è quella di decidere momento per momento. Circa 32 miliardi, tra la fine del 2022 e il
2023-2024 saranno destinati al contrasto del caro energia. La situazione è ambivalente. Da un
lato L’Esecutivo potrà contare sul tesoretto di 9,5 miliardi lasciato dal Governo Draghi per
finanziare il nuovo Decreto Aiuti per imprese e famiglie, dall’altro 22-23 miliardi saranno liberati
grazie alla scelta di aumentare il deficit per il 2023 al 4,5% e destinati a finanziare la legge di
Bilancio. Giancarlo Giorgetti, neoministro del Mef, non poteva fare altrimenti, i conti pubblici da
un lato sono cresciuti per maggiori entrate e l’insperato aumento del Pil, dall’altro lato
l’innalzamento dei tassi pesano sul Bilancio dello Stato. Per uscire da questa incertezza,
servirebbe una nuova visione industriale, anche se l’attuale è un momento difficilissimo. Una
scelta che invece ha provato a fare la Germania, con la visita a Pechino del cancelliere tedesco
Olaf Scholz, accompagnato dai vertici delle maggiori aziende tedesche, con l’obiettivo di
rafforzare i legami economici sino-tedeschi in una congiuntura che vede la Germania in
difficoltà per le conseguenze della guerra in Ucraina. Al dì là delle polemiche per il fatto che la
Cina stia sfidando strategicamente la Nato e per le sue posizioni pro-Russia, pragmaticamente
Berlino si è smarcato dai partner europei e cerca di aumentare le sue quote di export nell’ex
Celeste Impero.
Con i tassi che salgono così, i pericoli di una recessione aumentano. Il primo rischio è quello
della stabilità finanziaria in un momento in cui i mercati sono particolarmente volatili, e la crisi
di liquidità da parte delle imprese aumenta l’indebitamento, ma con tassi più alti, questo non
può portare un tessuto produttivo bancocentrico al collasso, in particolare per quanto riguarda
l’Italia?
È uno dei rischi maggiori per le imprese e la nostra economia. Le nostre realtà produttive si
indebitano sempre in un momento in cui le banche stanno rivedendo le politiche di rischio del
finanziamento. Come indica Lei nella sua precedente domanda, Moody’s ha abbassato da
stabile a negativo l’Outlook sul settore bancario. Uno degli annosi problemi delle Pmi italiane è
che soffrono di mancanza cronica di capitali e ricorrono di continuo alla leva bancaria. A parità
di dimensioni medie, le nostre Pmi fanno impresa con il 17% di capitale proprio, mentre in Usa
e Regno Unito si ha una media del 70%, e gli altri Paesi Ue si collocano intorno al 40%. Le
nostre aziende hanno problemi di capitale, non possono investire in crescita, innovazione e in
manager capaci e rischiano di essere acquisite da aziende estere. Bisogna spingere le
imprese ad apportare più capitale con conseguenti minor imposte sul reddito. Dall’altro lato
bisognerebbe incentivare i privati a investire nel capitale delle imprese, delle Pmi e più in
generale delle non quotate. Esistono già strumenti nuovi in questo senso, come i Pir – Piani
individuali di risparmi- ma si rivolgono soprattutto a società quotate. In generale serve una
politica che canalizzi e spinga gli italiani a investire nelle aziende parte dei circa 1.700 miliardi
di liquidità, pari a quasi il Pil italiano complessivo, che tengono sul loro conto.
La crisi finanziaria del 2008 ha evidenziato l’importanza di un sistema finanziario stabile. Ha
causato l’interruzione del flusso di denaro nell’economia e l’instabilità dei mercati finanziari;
era molto difficile ottenere un finanziamento, con grave disagio per cittadini e imprese. Per
contribuire a mantenere stabili i prezzi, abbiamo ridotto i tassi di interesse e iniziato a
introdurre nuovi strumenti. Queste decisioni, insieme a quelle dei responsabili delle altre
politiche, hanno aiutato l’economia ed il sistema finanziario a ripartire. Oggi la medicina per far
ripartire l’economia oltre a tener a bada i prezzi alzando i tassi, quale potrebbe essere secondo
Lei, anche per l’Italia?
La situazione internazionale, come abbiamo detto, è caratterizzata da una profonda incertezza
legata all’inflazione, al caro energia, alla guerra russa in Ucraina; è molto interconnessa e le
scelte e le politiche delle istituzioni monetarie non possono che essere prese step by step.
Tutto ciò non deve però fare dimenticare la necessità delle riforme strutturali, come quelle che
ha dettato l’Unione europea con Next Generation EU e che anche gli Usa avevano previsto e che
poi sono state ridimensionate dopo l’invasione russa del 24 febbraio dell’Ucraina e la guerra
che ne è derivata. Prima o poi si arriverà a una soluzione del conflitto e allora potremmo
ritornare a parlare con più determinazione di strategie di medio periodo. Per la nostra nazione
io e altri esperti ed economisti abbiamo proposto un “Patto per l’Italia”, che spinga, come detto,
i privati a investire i loro risparmi nelle nostre imprese. Concretamente, il nostro Paese
necessita di riforme strutturali da realizzare anche con modifiche costituzionali. Deve liberarsi
del sistema dei privilegi e delle lobby da cui è frenata. L’obiettivo è dare un futuro ai nostri
giovani in Italia. Così potremo anche riavvicinare i cittadini alla politica e al voto. Serve fiducia,
anche per attrarre investimenti stranieri e nel contesto dell’Ue. È essenziale predisporre un
piano di medio periodo, che preveda investimenti in infrastrutture sostenibili, consegua una
severa spending review e compia riforme improcrastinabili, a partire da quelle dell’istruzione,
della giustizia e del fisco, equo ma che crei le condizioni per lo sviluppo