Dopo una serie di articoli sulla sanità, una nota di costume di Giovanni Monchiero

Se permettete, parliamo di calcio

Quando Sartre definì il calcio “una metafora della vita” si riferiva al gioco, alle passioni, agli scontri, all’imprevedibilità e alla bellezza che lo caratterizzano. Parlare di calcio giocato alla vigilia della finale del Campionato del Mondo, in queste note che spaziano dalla sanità ai costumi, sarebbe di certo inopportuno.

Vi chiedo, invece, di dedicare un po’ di attenzione al calcio parlato, a quello organizzato, gestito, pagato, che della nostra vita pubblica è parte rilevante, non metafora ma elemento costitutivo. 

Una partita qualunque della fase eliminatoria di questo mondiale anomalo. Un allenatore italiano che ha lavorato anche in Iran viene stimolato dal collega radiocronista (oggi le telecronache si fanno a due voci) a dare un giudizio sulla repressione in atto, che ha portato all’arresto del capitano della squadra da lui allenata sino a pochi mesi fa.  Risposta: stiamo commentando la partita, non parliamo di queste cose. Nessun giudizio sui fatti in corso. Nemmeno una parola di vicinanza per quella persona coraggiosa con cui pure aveva lavorato. 

Non mi stupisce. È la vecchia mentalità dell’ambiente (il gioco, prima di tutto, slegato dalla realtà che ci circonda) che sopravvive, anche in un giovane intelligente e preparato, a perpetuare un clima di distacco che si traduce in indifferenza per i mali del mondo e in omertà per quelli interni.

In concomitanza con i mondiali è scoppiato, in casa nostra, uno scandalo che ha travolto l’intero consiglio d’amministrazione della Juventus, invitato alle dimissioni dalla proprietà dopo che la magistratura ne aveva chiesto il rinvio a giudizio per falso in bilancio. Sollecitato ad un commento, il Ministro dello Sport ha dichiarato che si tratta di prassi diffusa. Il solito “così fan tutti”, fondamento giustificazionista di tutte le magagne della nostra vita pubblica.

Un politico avrebbe almeno finto di scandalizzarsi, magari minacciando inchieste e commissariamenti. Ma il Ministro non è un politico. È quel che si dice “un uomo di sport”, per anni presidente della Lega di Serie B, membro della Giunta del Coni, oggi a capo dell’Istituto per il Credito Sportivo. Uno dell’ambiente, a cui sta bene che le cose vadano così. Pronto, ovviamente, ad assecondare la richiesta di dilazione dei versamenti di imposte e contributi, contenuta in un emendamento al DL “aiuti” (primo firmatario Lotito, presidente della Lazio e fresco senatore) che prevede anche uno scudo penale, specifico per i poveri dirigenti delle società oppresse dai debiti.

Ma i dirigenti del calcio non si limitano a condurre (maluccio, direi) i propri affari. Pretendono anche di dare lezioni di etica.  La Federazione internazionale del calcio è presieduta da Gianni Infantino, nato in Svizzera da genitori italiani, doppia cittadinanza, erede del mitico Blatter, l’uomo che (secondo i magistrati svizzeri, che presumiamo non ferocissimi nel perseguire reati finanziari) trasformò la FIFA in una associazione a delinquere, trascinando nella caduta anche un grande campione come Platini. Ebbene, alla cerimonia inaugurale, Infantino, anziché limitarsi a temi di circostanza, tipo lo sport che educa la gioventù ed affratella i popoli, ha voluto superare in retorica tutti i suoi predecessori, proclamando solennemente “Oggi mi sento arabo, qatariano, gay, disabile, emigrante”. Lasciamo stare i gay che in Qatar se la passano male, anche disabili e migranti meritano più rispetto. Infantino guadagna più di tre milioni di € l’anno: lo stipendio di mille raccoglitori di pomodori, migranti reali, in carne ed ossa.

Ma non è finita qui. Con singolare volo pindarico, ha anche preteso di fare la morale all’occidente: “Noi europei dovremmo vergognarci per quello che abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni e chiedere scusa per i prossimi 3.000”. Parole che non costano nulla e valgono a stendere cortine fumogene sull’operato della federazione che presiede.

C’era, in giro per il mondo, una certa curiosità di capire le ragioni della scelta, oggettivamente stravagante, di interrompere i campionati europei – quelli in cui crescono i giovani degli altri continenti, protagonisti di belle storie in questi mondiali – per giocare ai tropici nell’unica stagione in cui il clima lo consente.  Invece no, ci viene sviolinata triviale retorica.

Ci dibattevamo fra stupore ed indignazione, quando la magistratura belga ha scoperto un giro di tangenti (beneficiari, manco a dirlo, un bel gruppo di italiani e una signora greca travolta dal fascino latino) pagate dal Qatar per ammorbidire un documento del Parlamento europeo. Alla sostanziale irrilevanza dell’atto politico fa riscontro la straordinaria generosità del corruttore: sacchi di banconote (sghignazzano in Italia i sostenitori del contante) recuperati dalla polizia per un totale di un milione e mezzo di euro.

Gli sceicchi comperando squadre inglesi e francesi hanno già devastato il mercato calcistico. A Bruxelles stano portando inflazione anche in quello della corruzione. 

Parafrasando Sarte, potremmo dire che lo scandalo dell’europarlamento è una metafora del calcio.

 

16 dicembre 2022