“Americanate”

Giovanni Monchiero

La rimozione del direttore generale del MEF, pur difeso dal Ministro Giorgetti, per volontà diretta del Presidente del Consiglio, fa notizia e richiama all’attenzione l’ampia discussione sullo “spoil system” avvenuta fra fine dicembre e la prima decade di gennaio, inevitabilmente oscurata dai festeggiamenti per il nuovo anno e dai molti accadimenti di quel periodo.

La polemica traeva origine da una non felicissima uscita di Crosetto (con i dirigenti pubblici bisogna usare il machete) poi corretta nei toni, ma non nella sostanza, che ribadiva il diritto del Governo di sostituire i responsabili delle singole amministrazioni, introdotto in Italia, negli anni novanta, da una legge che porta il nome di Franco Bassanini. Che aveva, in precedenza, già contribuito al radicale cambiamento della legge comunale e provinciale: elezione diretta di sindaci e presidenti, riduzione dei poteri del Consiglio ed estensione di quelli della Giunta, progressiva abolizione dei comitati regionali di controllo, facoltà per gli amministratori neoeletti di sostituire segretari (in precedenza gestiti dalle Prefetture) e dirigenti. Un primo assaggio di quello che sarebbe poi diventata la legge del ’98, estesa a tutta la pubblica amministrazione.  

Intervistato da “la Stampa”, Bassanini difende la sua creatura. Si sa, “Ogne scarrafone è bell’a mamma soja”, ovviamente anche al papà. Non ho mai condiviso questa innovazione, mutuata da prassi secolare vigente negli Stati Uniti, perché ritengo preferibile che la burocrazia degli Enti pubblici sia guidata da funzionari scelti per competenza e serietà e non per contiguità politica. Nella mia storia professionale ho avuto, con altri colleghi, la fortuna di incontrare Assessori e Presidenti rispettosi di competenze ed attitudini, ma mi par di ricordare come, a dieci anni dall’aziendalizzazione, un rapporto “Oasi” rilevasse che la vita media dei Direttori Generali delle Asl era stata di diciotto mesi, con il minimo di sei in Calabria. Non credo che la sanità ne abbia tratto giovamento.  

 Nei Comuni, specie quelli piccoli, la “riforma Bassanini” ha avuto effetti devastanti. Dirigenti dotati di maggiore autonomia (firmano anche i contratti) ma che possono essere rimossi, senza motivazione, dalla sera alla mattina, saranno più portati ad ubbidire all’Assessore che a tutelare l’imparzialità dell’Amministrazione. La burocrazia ministeriale, più solida, ha retto meglio, ma si è rinchiusa in sé stessa. Non appare migliorata né nei risultati, né nella competenza e onestà dei singoli e continua a non godere di buona stampa. Stamane, nel dare la notizia della rimozione del direttore del Tesoro, “La Repubblica” ne assume la difesa d’ufficio ed attacca il governo, ma intitola “L’amarezza del boiardo escluso”. Una sorta di riflesso condizionato: il termine boiardo non ha, nell’uso corrente, connotazioni positive!  

In quegli anni la sinistra, che per decenni aveva guardato ad Est, era affascinata dalla democrazia occidentale. Da Ministro dell’industria, Bersani, si appassionò alla concorrenza sino a liberalizzare la distribuzione di servizi pubblici, come il gas, l’elettricità, la telefonia. Il caos delle bollette di questi mesi ha cause contingenti ma nasce anche da lì.

Le Aziende Sanitarie ricordano, di quel decreto, la possibilità per gli avvocati di derogare alle tariffe ordinistiche ed assumere il rischio di causa, come avviene in America. Se la richiesta di risarcimento fosse stata respinta il ricorrente non avrebbe corrisposto all’avvocato né compenso né rimborso spese, in caso di accoglimento si sarebbero invece spartiti la somma secondo percentuali predefinite. Questa innovazione ci ha portato la pubblicità televisiva di studi legali specializzati, lo stazionamento di giovani avvocati davanti agli ospedali per cogliere nei pazienti il minimo segno di insoddisfazione, col conseguente artificioso proliferare delle cause di risarcimento, poi contrastato dalla “legge Gelli” e dai mutati umori della giurisprudenza.

Agli inizi del secolo, il PD si ispirò ancora agli Stati Uniti introducendo le “primarie” per la designazione dei candidati e poi addirittura del segretario del partito. Non mi intrometto nella campagna elettorale in corso, ma trovo stravagante che il leader sia eletto anche da chi non è iscritto al partito. Cito in proposito un piccolo aneddoto, di cui garantisco la veridicità. Si era ai tempi di Renzi, che in quelle primarie trionfò. Nel mio paese un vecchio comunista portò tutta la famiglia al seggio ricavato in una prestigiosa aula messa a disposizione dal Comune. In coda si trovò davanti il segretario della locale sezione di Forza Italia e disse ai suoi: “abbiamo sbagliato posto, andiamo a casa”.

Sta tornando di moda, questa volta tra le file della destra, l’idea di cambiare la seconda parte della Costituzione, introducendo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, coma avviene, appunto, negli Stati Uniti.

E’ pur vero che la democrazia americana è la più antica del mondo e che la sua costituzione  precede la rivoluzione francese, ma oggi quell’impalcatura istituzionale scricchiola. L’assalto al parlamento di due anni fa ha aperto scenari inquietanti ed è stato recentemente emulato in una altra grande repubblica federale e presidenziale: il Brasile.  

Non sembra il momento più opportuno per guardare ancora oltre Atlantico ed importare anche il presidenzialismo.

 

20 gennaio 2023