“Prima della rivoluzione” di Giovanni Monchiero
Le preoccupazioni sull’attuazione del PNRR stanno prevalendo sulle residue sacche di ottimismo. Il
Governo comunica che lavora ad una rinegoziazione con l’Europa: un modo per dire in positivo che
– come al solito – non ce la faremo a mantenere gli impegni presi.
All’interno di un quadro complessivamente problematico, la sanità non fa eccezione. Ieri mattina Il
Sole 24 ore intitolava che le difficoltà nell’attuare il PNRR mettono a rischio la rivoluzione della
sanità. Mentre, poco oltre, un intervento di “Assolombarda per le life sciences” ribadiva che il
Piano sarebbe “l’occasione per rilanciare il sistema sanitario”.
Pare, infatti, che la costruzione dei 400 Ospedali di Comunità proceda molto a rilento e che neppure
le omonime Case se la passino troppo bene. Agli occhi di chi, da due anni, non ha risparmiato
critiche alla Missione 6, questa può apparire quasi una buona notizia, anche se, francamente,
pensavo che non fosse così difficile costruire edifici.
C’era da chiedersi, se mai, cosa si volesse realizzare con due milioni e mezzo di euro, come una
struttura così piccola potesse ambire al nome di “ospedale”, quali prospettive di sostenibilità
economica avesse la sua gestione e, in definitiva, a che cosa potesse davvero servire. La nostra
rivista ha assunto, sin da subito, una posizione fortemente critica sulla parte del PNRR dedicata alla
sanità e la sostiene da due anni. Il Servizio Sanitario Nazionale è gravemente ammalato; non
saranno quattro casette a ridargli la salute. Sentire doglianze sulla “rivoluzione tradita” è
stupefacente davvero.
Ma quale rivoluzione!? Al di là degli eccessi di ottimismo e di qualche errore di programmazione
era evidente la totale assenza di autentica visione riformatrice. La costruzione delle case rallenta
anche perché le Regioni non sanno come e dove attingere il personale necessario. Era ben noto che i
fondi del PNRR non potevano essere destinati a coprire spese correnti, ma, in qualche modo,
bisognava prevederle e finanziarle. Peraltro, anche se oggi, o nell’immediato futuro, il Governo
riuscisse a provvedere, in che cosa consisterebbe la rivoluzione ?
E poi, come si fa a scambiare l’ex ministro Speranza – sulla Missione 6 qualche parola l’avrà pur
detta – per un rivoluzionario? È uomo di sinistra, ma di una sinistra di governo, pragmatica, non
visionaria, ove la parola “rivoluzione” è stata bandita da tempo e l’aggettivo che ne deriva suona
quasi offensivo.
E tuttavia, per uno dei tanti paradossi della politica, a Speranza sembra prepararsi il destino avverso
che ha spesso perseguitato i rivoluzionari. La rivoluzione divora i suoi figli: uno magari diventa
despota, tutti gli altri finiscono al patibolo, anche prima che essa sia compiuta.
Non ci saranno ghigliottine in piazza ad attendere Speranza, ma tribunali si. Giovedì scorso la XII
Commissione della Camera ha licenziato – con l’uscita sdegnata di PD e 5 Stelle – il disegno di
legge che istituisce la Bicamerale d’inchiesta sul Covid. Speranza, con i suoi funzionari, il Comitato
Tecnico Scientifico e altre istituzioni sanitarie, sarà accusato di avere ecceduto in rigore
nell’arginare la pandemia, nell’imporre mascherine e lock down, nell’incoraggiare le vaccinazioni e
perseguire medici e infermieri no-vax.
Stiamo con Lui. Ma non possiamo dimenticare che a Bergamo la magistratura lo processerà per
ragioni esattamente opposte: per avere imposto chiusure blande e tardive e non avere fatto
abbastanza nel porre freni al dilagare del contagio.
In Italia tutto finisce sempre in farsa. Anche la rivoluzione che non c’è.
14 aprile 2023