Intervista a Giuseppe Fioroni di Giuseppe Picciano pubblicato su “Lo_Speciale” del 21.04.23

 

«Il Pd non è più quello che ho fondato, ricostruiremo l’area del popolarismo»

 

 

L’addio di Giuseppe Fioroni, giovane dirigente democristiano prima, fondatore e responsabile organizzativo del primo Partito democratico poi, più volte deputato e ministro, è stato perentorio. «Il Pd che ho contribuito a fondare non c’è più. E’ un’altra cosa. Forte dell’affermazione al congresso, Elly Schlein ha sottoposto il partito a una mutazione genetica. Ha cambiato un soggetto che nel 2007 aveva l’aspirazione di far coesistere le due culture maggiormente rappresentative del ‘900, la socialdemocrazia e il popolarismo cattolico, con quella liberal-riformista. Questa impalcatura è crollata e il Pd è diventato legittimamente un partito di sinistra-sinistra, dalle tante sfumature di rosso, dove convivono una componente minoritaria riformista e una maggioritaria massimalista e radicaleggiante. Un partito però distinto e distante da quello che ho fondato insieme a tanti amici cattolici democratici e della Margherita. Ho preso quindi atto della marginalizzazione dell’esperienza popolare. E a poco servono gli appelli di questi giorni per evitare possibili scissioni o uscite. Chi si sente fuori dal nuovo Pd, come me, farà altri percorsi».

Il Terzo Polo è imploso, ora tocca a lei occupare l’area di centro. A che punto è la costruzione della sua Rete popolare?

«Intanto mi spiace che il progetto del Terzo polo si sia bruscamente interrotto, poiché aveva messo in luce quanto sia artificiale e surrettizio il nostro bipolarismo. Noi stiamo facendo un altro di tipo di lavoro, stiamo cercando di riaggregare le anime di quella vasta area del popolarismo, ognuna con le proprie peculiarità e caratteristiche, che nel 1994 furono costrette a separarsi perché obbligate a rispondere alla domanda: vai a sinistra o a destra? Vogliamo recuperare le ragioni dello stare insieme per quel senso di appartenenza insito nel popolarismo e recuperare l’antico rapporto con gli elettori, che la politica di oggi ha completamente cancellato. Oggi si sceglie in funzione di una promessa o di un tornaconto e questa non è politica, è semplicemente degrado».

A distanza di sedici anni non pensa che sia stato un azzardo creare un partito dall’unione di culture politiche per certi versi antitetiche?

«Nel 2007 si crearono le condizioni per la migliore sintesi possibile tra sensibilità diverse che potessero condurre insieme il partito ad affrontare le sfide della modernità. Dopodiché la corrente più ampia ha mostrato sempre più interesse al governo del partito, mentre l’altra, quella moderata, ha provato a contenderne in alcuni frangenti la conduzione in un criterio di alternanza, con gli esiti però che conosciamo. Ora un Pd con Elly Schlein segretario e Bonaccini presidente è un’altra cosa, per cui se in una realtà come questa si finisce per sentirsi ospiti, per giunta paganti, la decisione di cambiare aria è consequenziale».

Ha dichiarato di voler costruire l’ennesimo partito né confluire in altri: cosa vuol fare? Con chi sta interloquendo?

«Stiamo allargando la base della nostra rete. Don Sturzo ci ha insegnato che la politica si costruisce dal basso, tra la gente. Oggi i nostri interlocutori sono numerosi e pur venendo da esperienze diverse, sono affini. Ragioniamo con Stefano Zamagni, Giuseppe De Mita, Giuseppe Gargani, Letizia Moratti, Cateno De Luca, Andrea Losco, solo per fare qualche nome, se sia possibile confluire in un nuovo soggetto popolare dove ci si riconosce e si condividono i principi. E’ tempo di creare qualcosa che consenta di realizzare nel segno dell’unità un’area popolare che era stata artificiosamente divisa nel corso degli anni. E che ripartendo dal territorio, dal radicamento tra la gente, sappia creare quello che è il vero antidoto al degrado della politica. Verificheremo se sarà possibile presentarci alle europee. Non parlo per me, io ho esaurito quella fase, ma faccio politica perché è una passione autentica e sincera. Ha ragione Matteo Renzi quando dice che è ora che molti facciano un passo di lato».

Da anni i cattolici sono senza cittadinanza politica, coloro che hanno trovato ospitalità a destra e a sinistra mostrano disagio e insofferenza. In linea di principio, qual è il comportamento da adottare?

La politica è la forma più alta di carità. A destra o sinistra bisogna impegnarsi, fedeli ai propri ideali per il bene comune, sporcandosi le mani. Noi vogliamo dare un’anima alla politica, vogliamo dimostrare che con passione e condivisione si può generare di nuovo un’identità e una appartenenza. L’identità di chi si sente partecipe di uno sforzo finalizzato al bene comune. Il cattolico deve operare con la schiena dritta senza mai cadere nella tentazione di adattarsi alla realtà circostante solo per il fatto di esserci».