Le riflessioni di Monchiero del mese.
Ricette inutili
Sul Corriere della Sera di ieri, il prof. Lauria Pinter, direttore scientifico del prestigioso Besta, dopo
aver analizzato una serie di dati, ignoti o non meritevoli di attenzione per molti addetti ai lavori,
conclude con l’invito ad ispirarci alla sanità dei paesi europei più avanzati per migliorare
l’efficienza del nostro ansimante servizio sanitario nazionale.
Che l’autore dell’articolo sia un medico e non un economista si vede sin dall’improprio richiamo
all’efficienza che, nel linguaggio economico, si riferisce al rapporto fra valore della produzione e
risorse impiegate. Anche con i guai attuali, il nostro sistema sanitario rimane efficientissimo. I
tempi in cui l’OMS lo valutava tra i migliori del mondo (secondo solo a quello francese) sono ormai
lontani, ma l’efficienza rimane altissima. Nessuno, fra i paesi che spendono meno di noi, ottiene
risultati altrettanto validi in capillarità dei servizi, efficacia e qualità delle cure, indicatori di salute
della popolazione.
Tuttavia, il S.S.N. presenta inquietanti lacune: le famigerate “liste d’attesa”, sintesi delle difficoltà
di accesso, specie per le attività diagnostiche; le intollerabili differenze fra regione e regione, Asl e
Asl, struttura e struttura; le carenze dell’assistenza territoriale e domiciliare; la vetustà, talvolta lo
squallore, degli edifici che non raggiungono gli standard di sicurezza e confort previsti delle
norme.
Non v’è ragione di dubitare che nei paesi europei con cui amiamo confrontarci le cose vadano
meglio. Ma prima di proporre a modello la loro organizzazione, diamo un’occhiata a quanto gli
costa. La spesa pro-capite della Svizzera è più del doppio della nostra, poco di meno per Germania
e Olanda, attorno al 50% in nostro gap con la Francia, e persino il Regno Unito, di cui abbiamo
copiato il modello, spende il 30% più di noi. Nel 2020 la spesa pubblica pro-capite italiana è
risultata del 34% inferiore a quella media dell’Europa “dei 15”.
È il paradosso dell’efficienza. Con le limitate risorse disponibili siamo riusciti a garantire per anni
una sanità di alto livello, ma, a furia di risparmiare, siamo arrivati ad un passo dal momento in cui il
S.S.N. non sarà più né equo, né efficace. Il paese più risparmioso d’Europa – in sanità – è quello
che più rischia l’insostenibilità del sistema: questo ci dice la logica.
Il problema è sentito. Persino la Corte dei Conti, nelle sue recenti osservazioni al DEF, ha rilevato
che molti degli obiettivi del Governo, dalla riduzione delle liste d’attesa al recupero delle
prestazioni non effettuate causa Covid, non sembrano raggiungibili alla luce della prevista
riduzione percentuale del FSN sul totale del bilancio dello Stato e quindi sul PIL.
Il richiamo formale della Corte ha offerto una autorevole sponda alle rivendicazioni che da tempo
provengono dal mondo della sanità, dai sindacati del settore, ovviamente, numerosi ed agguerriti,
e persino dalla federazione degli Ordini dei Medici. Su La Stampa di stamane il presidente Anelli
riprende un tema che gli è caro: servono più risorse per arginare la fuga dei medici. La
programmazione va fatta sulle necessità e dopo andranno trovate le risorse – riferiva ieri questa
news-letter citando un altro suo intervento.
Un po’ di sano ottimismo può anche indurci ad auspicare che, in sede di approvazione della legge
finanziaria, il Parlamento riesca a reperire qualche euro in più. Ma si tratterà di poca cosa di fronte
alla gravità del problema. La soluzione può venire solo da una razionalizzazione del sistema.
Per tornare alla carenza dei medici, bisogna pur ricordare che, con 4,06 medici ogni 1000 abitanti,
siamo di mezzo punto superiori alla media di Francia, Germania, Inghilterra e Spagna. Lo
ricordava, nel suo articolo di ieri, anche Lauria Pinter. Questo dato pone, ineludibilmente, la sfida
organizzativa: se i medici ci sono, ma ne percepiamo la mancanza, significa che li utilizziamo male.
Fin dalla sua approvazione, questa rivista ha rilevato come il PNRR non fosse sorretto da una
adeguata visione ed insiste, da allora, sulla necessità di affiancargli una vera riforma che incida su
modelli organizzativi e comportamenti individuali.
Non avremo mai le risorse della Germania, dell’Olanda, della Francia. Dobbiamo mettere in campo il nostro ingegno. E una seria disponibilità a cambiare.
24 novembre 2022