Il volo della cicogna di Giovanni Monchiero
Domani a Milano ci sarà una manifestazione promossa dal sindaco di Torino, con altri colleghi, per
contestare le iniziative dei Prefetti che hanno bloccato la registrazione allo Stato Civile dei figli di
coppie omoaffettive (come si usa dire oggi: la parola omosessuale sta per essere bandita dal
lessico) e sollecitare una iniziativa legislativa che risolva il problema. Oggetto di contestazione
sarà, ovviamente, anche la decisione della Commissione Politiche Europee del Senato che ha
respinto, in settimana, la proposta di regolamento elaborata dall’unione. Il sindaco di Milano, che
pure era stato il primo a protestare, non ci sarà. Spero perché convinto della estrema difficoltà di
disciplinare la materia.
Come si tocca questo argomento ci si perde in conflitti etici, animati da opposti pregiudizi. E la
legislazione che ne scaturisce rischia di risultare velleitaria. Ad esempio, è vietata, in Italia, la
fecondazione eterologa assistita alle coppie omosessuali femminili, divieto che può essere
facilmente aggirato all’estero e la gravidanza spiegata con una fecondazione eterologa naturale,
praticata, con successo, dalla notte dei tempi.
A volte anche alla luce del sole. Ci narrano le cronache che la giovane Caterina di Russia, che
passerà alla storia come “la Grande”, sposata a uno zar poco interessato alle donne e per nulla
atto alla procreazione, fosse formalmente sollecitata dalla suocera a provvedere, con chicchessia,
alle esigenze dinastiche. Cosa che naturalmente fece con successo e che le spianò la strada al
potere assoluto, con l’eliminazione dell’inutile coniuge.
Molto più complesso il caso del ricorso al cosiddetto “utero in affitto”, pratica diffusa in molti
paesi, compresi quelli ricchi in cui abbondano i poveri. Riferisce oggi “La Stampa” che in California
ci siano agenzie che pensano a tutto, curando ogni dettaglio legale e sanitario, per la modica cifra
di 75.000 dollari, di cui 15.000 vanno alla gestante.
A me sembra quasi incredibile che sessantacinque anni dopo la legge Merlin, che vietò lo
sfruttamento della prostituzione da parte dello Stato (che ne deteneva il monopolio) e,
ovviamente dei privati, molti vogliano legalizzare questa forma di sfruttamento della donna e
spero che la legislazione italiana non si pieghi a riconoscerne la liceità. Ma qui siamo ancora nel
campo del diritto ispirato all’etica, per sua natura mutevole e, talvolta, divisiva.
Torniamo dunque al punto di partenza, a quella registrazione dei neonati allo Stato Civile oggetto
del conflitto fra Prefetti e Sindaci. In molti Comuni è invalso l’uso di iscrivere il bimbo o la bimba
(precisazione, superflua per la grammatica italiana, che il politically correct ritiene indispensabile)
come figlio di due padri o di due madri. Circostanza, ad ogni evidenza, non veritiera.
Per non turbare le menti dei fanciulli, si usava, ai miei tempi e dalle mie parti, raccontare loro che
erano nati sotto un cavolo; altrove si preferiva la più poetica immagine della cicogna. Ben presto la
realtà prevaleva su questa ingenua mistificazione, trasferita, con Babbo Natale e la Befana,
nell’armadio delle credenze infantili riposte per sempre. Dovremmo oggi accettare che i
documenti che tutelano la civile convivenza rispondano alla logica delle favole?
La veridicità è l’essenza di ogni registro pubblico, su tutti proprio lo Stato Civile. L’ufficiale
responsabile deve formalizzare, per ogni futura necessità, dove, quando e da chi siamo nati,
tralasciando i dati eventualmente non noti. Ma non può scrivere un fatto non vera. Violerebbe
l’art. 476 del Codice Penale che definisce, e punisce, il falso ideologico.
Nella società liquida dove l’etica è del tutto soggettiva e la parola verità è guardata con sospetto,la burocrazia rimane, dunque, l’ultimo baluardo.
17 marzo 2023