Una vera e propria cronistoria ,degli ultimi eventi ,vista da un addetto ai lavori che siamo certi considerare un esperto nel campo dell ‘organizzazione e della cultura politica -Giovanni Monchiero
Giovanni Monchiero
Riflessioni dal settembre 2020 al dicembre 2020
Sei mesi
1.09.2020
“!Siamo stati i primi, in Europa, a chiudere le scuole. Saremo gli ultimi a riaprirle. E magari di nuovo i primi a richiuderle.
Sei mesi non sono bastati ai Ministeri direttamente coinvolti ( Istruzione, Salute, Trasporti), alle loro corpose burocrazie, ai loro consulenti e comitati tecnico-scientifici, alle Regioni ( ognuna con le sue burocrazie arricchite da multiformi esperti, ognuna gelosa del proprio modello organizzativo), a Province e Comuni ( proprietari degli edifici scolastici) a Sindacati e rappresentanze varie , sei mesi, dicevo, non sono bastati ad elaborare una precisa strategia su come riprendere la normale attività adottando ogni misura atta a tutelare alunni e personale dal rischio di contagio.
Sei mesi, in tempi normali, potrebbero anche apparire giustificati dalla complessità dei problemi da risolvere. Nel corso di un’emergenza sanitaria, invece, sei mesi sono una eternità.
Ebbene sei mesi non sono bastati neppure per mettere tutti d’accordo sulla data di riapertura della scuole. Il governo insiste sul 14 settembre nonostante molti obiettino che riaprire il 14 per poi richiudere per le elezioni della domenica successiva, con conseguente necessità di ri-sanificazione degli edifici, rappresenterebbe uno spreco e che, dopo aver aspettato sei mesi, si potrebbe serenamente rinviare di qualche giorno.
Dimentichiamo i problemi pratici come i famosi banchi a rotelle, scelti per favorire il distanziamento, quando il buon senso suggerisce che, per raggiungere quello scopo, sarebbe più efficace fissare i banchi al pavimento. O come l’invenzione della figura del docente over 55, “fragile” e meritevole di tutela. Mentre confido che questa singolare sollecitudine venga abbandonata, vorrei ricordare che, nel momento più acuto della crisi, molti medici pensionati sono tornarti in servizio ad aiutare i colleghi in difficoltà, ed è ben ardua impresa sostenere che gli insegnanti sono più fragili e più a rischio dei medici.
Passiamo ad un problema risolvibile con modelli matematici: Il trasporto. Neppure in questo caso sei mesi sono bastati a definire mezzi, tempi e modi dei trasporti.
L’elenco dei problemi irrisolti potrebbe continuare, senza nulla aggiungere alla grottesca evidenza dei fatti.
Muore definitivamente la leggenda che gli Italiani, nelle difficoltà, diano il meglio di sé . Può essere vero nel momento del disastro, quando le circostanze ci costringono ad una unione operosa. L’emozione del cuore, che ci spinge ad atti di generosità, di coraggio, di tenacia, è di breve durata. Superata la catastrofe, si torna alla solita vita: questa. Tutti sappiamo che , dopo quattro anni, ad Amatrice e nei centri circostanti sono ancora ben in vista cumuli di macerie. Che a l’Aquila, dopo undici anni, la ricostruzione è tutt’altro che compiuta. E via riandando nella memoria.
Di norma la politica raffronta i problemi con grande impegno retorico: “Riportare i ragazzi nelle scuole è una priorità assoluta”. Lo dicono tutti, maggioranza, opposizione, presidenti, ministri, scienziati, sindaci, assessori, presidi e sindacalisti .
Lo dicono tutti. Da sei mesi.
L’informazione ha ucciso la verità
2.09.2020
“Ho appena preso un caffè in un bar di campagna del Roero, terra da vino, in compagnia di contadini piemontesi, legati alle tradizioni, tutti iscritti all’ANA ( associazione nazionale alpini), gente laboriosa e solida, senza grilli per la testa, pragmatica e fedele alle istituzioni. Nessuno degli avventori indossava la mascherina e il gestore la portava al collo, come un papillon.
Se – mi sono detto – noi sostenitori delle regole di prudenza per prevenire il contagio, non riusciamo più ad ottenere ascolto da persone come queste, gente di mezza età, temprata dalla fatica e amante dell’ordine, che potremo mai dire al popolo della movida, con o senza discoteca ? Come e cosa comunicare alle migliaia di negazionisti, più o meno fanatici, che a Londra e a Berlino hanno protestato contro i governi autoritari e la scienza, asservita alle multinazionali del farmaco, che, in combutta, si sono inventati il virus per avere un pretesto per limitare la libertà di tutti, guadagnandoci pure.
Non c’erano, a Berlino, solo neonazisti e protestatari di professione, terrapiattisti e complottisti vari. C’erano migliaia di cittadini comuni. C’era persino Robert Francis Kennedy, figlio di Bob, 66 anni, verrebbe da dire sprecati, durante i quali, comunque, ha avuto opportunità e tempo per capire qualcosa del mondo. In mezzo a quella folla, ha avuto la bella idea di gridare “Io sono un berlinese” come fece suo zio John, il Presidente, di fronte al muro. Quasi una profanazione. Ma Robert jr. l’ha detto senza cattive intenzioni , con la naturalezza innocente di chi ha perso il contatto con la realtà e non ha intenzione di ritrovarlo.
A disorientare le folle del mondo hanno contribuito assurde polemiche politiche ( credo che l’Italia detenga il poco invidiabile primato), il negazionismo esplicito di grandi leaders come Trump, Bolsonaro e Johnson ( quest’ultimo, dopo una settimana in terapia intensiva, ha cambiato opinione) e l’assunzione a star mediatiche di centinaia di scienziati, studiosi e medici di ogni ordine e grado.
Quest’ultimo fenomeno sarà certamente indagato a fondo da sociologi e studiosi dell’arte della comunicazione . Senza la pretesa di dar vita ad una scuola di pensiero, vorrei osservare che la luce della ribalta nuoce a chiunque, specie a chi non vi è avvezzo.
Prendete un uomo di scienza ( o una donna, la parità di genere non è in discussione) staccatelo dai suoi libri, dalle sue provette, dai suoi pazienti e portatelo in televisione, magari al telegiornale della sera: non potrà fare a meno di dire qualcosa di diverso dal collega che ha parlato prima di lui. Da quel momento il conduttore evidenzierà il contrasto, media e social lo ingigantiranno, lui si affezionerà sempre più alle sue idee e avverserà quelle altrui fino a sfiorare lo scontro. A questo punto la comunicazione del sapere scientifico diventa spettacolo e l’effetto si moltiplica: sempre più presenze, con nuovi protagonisti, nuove tesi, nuovi contrasti sino a un punto in cui nessuno appare credibile, nulla appare vero.
E’ accaduto sotto gli occhi di noi tutti. E ogni frequentatore di social, sia un hater abituale, sia un passivo divoratore di fake, è stato trascinato in una spirale di crescente confusione, sino a smarrire ogni certezza, sino a divulgare qualsiasi cosa, sino a credere un poco a tutti e in tutto a nessuno.
Sino a rifiutare il concetto di pericolo. Sino a buttare la mascherina. Sino ad andare a Berlino.”
Nel paese di Azzeccagarbugli
17.11.2020
“La notizia meriterebbe rilievo assoluto, ma la “infodemia” che imperversa ai tempi del Covid la relega in un ruolo minore. Il TAR del Lazio, accogliendo il ricorso di un sindacato, ha sentenziato che i medici di famiglia non possono essere inviati al domicilio del paziente ammalato di Covid – come prevedeva la delibera della Regione impugnata – perché questo nuovo compito li sottrarrebbe alla loro missione di curare gli “altri” pazienti. A me, ignaro delle sottigliezze del diritto, sfugge la distinzione fra pazienti “normali” e pazienti contagiati durante una epidemia e non intendo fare nulla per colmare la lacuna.
Tanto più che ieri ero fresco reduce( via Web, ovviamente) dalla IV Conferenza Nazionale sull’Assistenza Primaria promossa dall’Istituto “ Giuseppe Cannarella”, dove tra i tanti eccellenti relatori, tutti convinti della necessità di valorizzare il ruolo della medicina di territorio, avevo ascoltato Ovidio Brignoli ( vice presidente della SIMG) dare testimonianza dell’impegno e delle attività innovative promosse con i colleghi bresciani durante la prima fase della pandemia. Entusiasmo subito spento : il TAR ha sentenziato che i medici di famiglia non devono lavorare più di quanto non gli imponga la convenzione.
Viviamo nel paese di Azzeccagarbugli e non c’è solo il Terzo ( ormai unico ) Potere ad avere smarrito la bussola. Chiunque sia investito di una pubblica funzione trasforma il suo punto di vista in una fonte del diritto. Non sarà sfuggito agli appassionati di calcio che il raduno della Nazionale è stato gravemente ostacolato dalle singole iniziative dei SISP delle ASL di provenienza dei convocati che in qualche caso hanno loro vietato di recarsi in ritiro, in altri ovviamente no. La Nazionale ha giocato ed ha pure vinto e nel calcio, si sa, conta solo il risultato.
Avrei, invece, voluto vedere un direttore di ASL, un Assessore regionale o lo stesso Ministro staccare le orecchie a qualche troppo zelante igienista incurante delle norme ( adottate dopo lunga gestazione) che regolano l’attività del calcio professionistico. Non si può vivere in un paese in cui le 75.000 leggi vigenti ( record mondiale) possono quotidianamente essere riscritte da chiunque, giudice o burocrate, le debba applicare.
In questo contesto ben si inserisce il caso della Puglia ( è passata solo una decina di giorni ma le notizie si assembrano in nodi inestricabili) con il Tar di Bari che ha annullato l’ordinanza regionale che imponeva la chiusura delle scuole, riaprendole, mentre quello di Lecce ha respinto il ricorso, lasciandole chiuse . La legge è uguale in entrambe le città, l’ordinanza pure.
Ciononostante i giudici si sono avventurati nel costruire , tra diritti irrinunciabili, una scala di valori di cui non v’è traccia nel nostro ordinamento e che proprio non gli compete. L’uno ha stabilito che l’istruzione viene prima della salute, l’altro ha sentenziato l’esatto contrario.
Suppongo che la convinzione del primo abbia tratto alimento dalle innumerevoli prese di posizione di intellettuali schierati sul fronte del diritto allo studio ( “un pase senza istruzione è destinato alla rovina” ) incuranti delle ammonizioni degli epidemiologi.
Il secondo ha applicato il “primum vivere, deinde philosophari” che nella versione popolare suona più o meno cosi :” meglio un asino vivo, che un dottore morto”. Antica saggezza. Me lo ripeteva spesso anche mia nonna.”
Far finta di essere sani
19.11.2020
Oggi, 19 novembre, i Governatori incontrano il ministro Boccia per modificare i parametri utilizzati nel definire la categoria di rischio delle singole regioni.
Credo che ci sarebbero cose ben più serie di cui occuparsi, ma ventun parametri gli sembrano troppi e difficili da trasferire al popolo, avido di sapere. Sembrano troppi a tutti i presidenti di regione o provincia autonoma; e non si può non salutare con gioia questa ritrovata unità di intenti, dopo mesi in cui ogni regione proponeva le proprie soluzioni, diverse da quelli delle confinanti e da ogni indicazione governativa.
E’ ben strana questa idiosincrasia per il numero 21, che meriterebbe di essere assurto a numero magico, in quanto prodotto di 7 ( ricco di simbologia: sette furono i re di Roma. 7 le meraviglie del mondo, 7 le braccia del candelabro ebraico, sino all’evangelico 70 volte 7 ) per 3, il numero perfetto. Qualcuno ritiene addirittura che 21 sia il peso dell’anima, espresso in grammi , ma la tecnica di misurazione alimenta qualche dubbio.
21 sono anche i presidenti coinvolti nell’impresa. Sì che le Regioni sono 20, ma ognuna delle province autonome di Trento e di Bolzano ha sostanzialmente gli stessi poteri di una regione. Per correttezza di informazione non dovremmo più parlare – con apprensione o compiacimento, a seconda dei punti di vista – di 20 sistemi sanitari, ma di 21.
Ebbene, ai 21 non piace il numero 21. Vorrebbero ridurlo a 5, le dita della mano, sulle quali, da bambini, si imparava a contare. Nella presunzione che 5 parametri siano più facili da comunicare. Per quanto la comunicazione sia la quintessenza della politica, c’è dell’altro. I più sperano che alla revisione dei parametri segua poi quella delle classificazioni e di recuperare, così, un posto in classifica da presentare come un trionfo ai propri elettori.
Non tutti la pensano in questo modo. L’Abruzzo e la provincia di Bolzano hanno, autonomamente, adottato le misure più restrittive, previste per le “zone” rosse, pur essendo formalmente “arancione”. Lo hanno fatto – dicono – nella convinzione che, intervenendo prima, si possano ridurre i rischi di contagio. Scelta ragionevole ma minoritaria.
La maggior parte dei presidenti preferisce aggiustare la classifica per eliminare qualche misura ritenuta dolorosa e inopportuna. Anch’io credo, ad esempio, che chiudere i piccoli negozi, al cui interno è facile adottare efficaci misure preventive, sia provvedimento inutile e costoso. Non riuscendo a convincere il governo ad eliminarlo, si punta a cambiare la classifica.
Far finta di essere sani non aiuta a mantenersi in salute. Ce lo diceva Giorgio Gaber in uno dei suoi capolavori. Da riascoltare immediatamente.
TRECENTO
9.12.2020
“Per affrontare l’arduo compito di predisporre i progetti per utilizzare al meglio le risorse del “recovery fund” o di qualsiasi altro strumento europeo comunque denominato – escluso l’aborrito MES – il premier Conte ha deciso di costituire una poderosa struttura piramidale. A capo lui stesso, assistito da 2 ministri, 6 manager e 300 tecnici dei settori destinatari degli interventi.
Trecento, numero possente anche se non proprio beneaugurante. Trecento erano gli spartani alle Termopili. Altrettanti i patrioti di Carlo Pisacane, immortalati da Luigi Mercantini : “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti”. Il numero evoca imprese disperate, eroismi destinati alla sconfitta.
Augurerei ai trecento di Conte sorte migliore, se già non stessero montando polemiche volte ad impedire a manager e tecnici di intraprendere l’impresa. Chi invoca il primato della politica, chi indaga i profili costituzionali della pletora di task force, chi lavora decisamente per un cambio di governo. Renzi, che nella caciara da il meglio di sé, non fa mistero di puntare sul super tecnico Draghi, uomo di grandi meriti, indiscusse competenze, poche e limpide parole.
La proposta di un governo di sapienti è antica come la storia della politica. Platone, come è noto, teorizzò il governo dei filosofi, i super tecnici della sua epoca, in due varianti: portare i filosofi al governo o trasformare i governanti in filosofi. Tentò di attuarlo nella potente città di Siracusa prima con Dionigi il vecchio e poi con il Dionigi nipote, entrambi comprensibilmente affezionati al proprio ruolo di tiranno. La filosofia non fece breccia in quei ruvidi cuori e Platone, in un caso come nell’altro, riuscì a stento a portare a casa la pelle. Rinunciò ad elevare la politica e relegò il governo dei filosofi nel luogo che oggi chiameremmo dell’utopia.
Tornando alla cronaca, i trecento di Conte non rappresentano il cedimento della politica ai tecnici – come erroneamente tuona in coro l’opposizione – bensì l’estremo tentativo della politica di conservare l’egemonia del potere confondendo le carte nell’ora già buia, moltiplicando e quindi vanificando i ruoli tecnici.
Troppi tecnici uguale nessuna tecnica, come ben dimostra la lotta al Covid. Ritenendo che Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Superiore di Sanità, AGENAS e strutture tecnico-burocratiche del Ministero e delle Regioni non fossero sufficienti, la politica ha invocato soccorso a Comitati, Gruppi, Consulenti e Commissari, centrali e periferici, producendo il caos che è sotto gli occhi di tutti.
Il pensiero che le nostre vite siano affidate ai Conte, ai Di Maio, alle Azzolina, alle De Micheli e che, per via democratica, potremmo al più sostituirli con i Salvini, le Meloni o i Gasparri è disperante. Non resta che rifugiarsi nell’utopia e confidare in Draghi.”