Il feudalesimo democratico: dalla democrazia dei partiti alla democrazia plebiscitaria.
Tratto da “il domani”di Ezio Lavorano del 7 ottobre 2023
In vista delle prossime elezioni regionali (si voterà in 5 regioni) e amministrative ci sembra opportuno fare alcune brevi considerazioni circa lo “stato di salute” della democrazia nelle istituzioni periferiche e sul livello di tollerabilità della concentrazione del potere. In altri termini, valutare gli effetti che la indotta mutazione genetica del cosiddetto “sistema dei partiti”, inteso come un complesso di soggetti che operano in un contesto di relativa stabilità ed interna armonia, ha prodotto nel corso degli anni sulle istituzioni e sulle modalità di partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica.
Preliminarmente si ricorda come, a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso, una attenta e martellante campagna tesa a convincere la collettività che le regole allora in vigore erasno obsolete e inadeguate, che avevano perso efficacia, e che perciò fosse bene liberare le mani della politica dai lacci del diritto, dalle regole, dal controllo democratico, alimentata a sua volta dalla contestuale campagna giudiziaria passata sotto il nome di “tangentopoli”, hanno prodotto una serie di sostanziali mutamenti del quadro politico delle istituzioni. I partiti politici che per i primi cinquant’anni della storia repubblicana avevano rappresentato il principale strumento attraverso cui garantire la partecipazione e la determinazione della politica nazionale/locale, hanno subito una pesante battuta di arresto.
La nuova architettura istituzionale locale e regionale introdotta in quegli anni, strutturata in modo tale da andare oltre gli stessi, li ha trasformati infatti da luoghi di partecipazione a disposizione dei cittadini a macchine elettorali a disposizione del capo, con strutture intermittenti, senza ideologia e senza organizzazione. Svuotati della propria base ideologico-valoriale e della tradizionale organizzazione politica, tali compagini sociali sono diventate di fatto entità occasionali e deboli, pronte ad attivarsi solo in occasione di grandi appuntamenti elettorali, ridotte ormai alla condizione di soggetti privi di una coerente legittimazione politica e sociale.
In pratica essi hanno perso i loro connotati originali e parallelamente si sono leaderizzati, trasferendo il loro tradizionale rapporto con la società e con gli elettori sempre più attraverso i media e il marketing politico. In sostanza, si sono trasformati in comitati al servizio del leader di turno, il quale sviluppa il proprio rapporto con i cittadini/elettori utilizzando i media e le tecniche del marketing politico-elettorale.
Tutto ciò, ameno sul piano locale, non è accaduto per caso. Vi è stata una precisa volontà politica di trasformare l’assetto democratico, per rispondere al principio secondo il quale sistema di governo deve essere in grado di fornire riposte rapide, la cosiddetta “riduzione delle complessità”. In questo modo ciò che conta non sono più i principi e i valori un tempo incarnati nei partiti, ma sempre di più le caratteristiche personali dei protagonisti, sicché la richiesta di consenso senza offerta politica favorisce il rifluire della ratio del principio rappresentativo nell’emotio di quello plebiscitario, saldate in un’unica logica binaria nella quale il primitivismo prepolitico dell’incarnazione in un leader fa premio sulla strutturazione identitaria di tipo programmatico-politico.
In questo contesto il ruolo del corpo elettorale diviene del tutto marginale e inscritto in una logica di passività – fondato com’è sull’instaurazione di un magnetico circuit de confiance che si accende e si spegne esclusivamente nell’arena elettorale – in grado solo di conferire al potere una legittimazione sentimental-servile. L’eclissi dei partiti tradizionali, chiamati al rispetto delle convenzioni e delle consuetudini politiche, ha di fatto liberato il sistema da ogni freno inibitorio, favorendo pratiche impensabili in un contesto di sana democrazia e di rispetto degli elettori.
L’esempio più fulgido è dato dal proliferare delle cosiddette “Liste civiche”, coacervo di interessi personali, prive di ogni ancoraggio politico e istituzionale, funzionali solo al perseguimento di interessi di parte, che hanno inteso l’investitura popolare in chiave di autonomizzazione dalla trama del pluralismo politico e sociale. In tale ampia situazione, la scelta poi di legare il vertice dell’esecutivo al voto popolare ha voluto marcare il carattere extraistituzionale della legittimazione ad amministrare. In questo modo si è largamente superato il limite tollerabile di concentrazione del potere. L’istituzione di un vertice monocratico dotato di ampi poteri (nomina e revoca unilaterale dei componenti degli organi esecutivi) ha ridotto di grand lunga gli spazi democratici non solo nelle istituzioni, determinando una torsione antidemocratica del sistema locale e regionale.
La rigidità introdotta, prima nell’ordinamento degli Enti Locali, poi in quello regionale secondo il principio del simul stabunt simul cadent ha nei fatti svuotato l’organo collegiale supremo (Consiglio comunale o Consiglio regionale) da ogni effettiva libertà, perché sottoposto al potere autonomo e incondizionato di scioglimento da parte del Sindaco/Presidente. È vero che è prevista la sfiducia, ma può essere attivata solo da un organismo kamikaze, posto che in caso di approvazione della stessa decade il Sindaco/Presidente con lo stesso organismo proponente. Questo equilibrio del terrore ha prodotto l’atrofizzazione di fatto degli istituti della sfiducia e dello scioglimento anticipato degli organismi assembleari nei quali risiede la rappresentanza popolare.
La svolta cesarista ha allontanato i cittadini dalle istituzioni, ha creato un élite autoreferenziale che non rappresenta più il corpo elettorale. La voragine che è sotto i nostri occhi tra il corpo elettorale e le istituzioni rappresentative, manifestata per altro dalla sempre più larga astensione elettorale, pone evidenti interrogativi sullo stato di salute del nostro sistema democratico, di fronte ai quali per il bene delle istituzioni non si può continuare a tacere. È necessario rivedere alcune norme, per ridare smalto e partecipazione a questa nostra democrazia in grave difficoltà.