Uomini e leggi di Giovanni Monchiero

Mi perdonerete, amici lettori, se non tratterò di sanità, in assenza di eventi, né dei tragici fatti di
Israele, in carenza di parole.
Preferisco raccogliere una buona notizia: la sostanziale assoluzione, in appello, di Mimmo Lucano,
ex sindaco di Riace, condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi per una serie di crimini, fra cui
l’associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Resta una simbolica condanna,
condonata, per abuso d’ufficio, reato in via di estinzione che gli odiatori di Lucano si sforzano da
tempo di cancellare dal codice.
La buona notizia è la riabilitazione di una persona per bene, forse un po' ingenua, forse poco attenta
ai procedimenti formali, ma certamente onesta e mossa dalle migliori intenzioni. C’è, però, un
retrogusto amaro perché l’accanimento giudiziario (nella Locride, secolare luogo di efferati delitti!)
contro un pubblico amministratore che aveva realizzato un piccolo modello di accoglienza ed
integrazione, costituiva sino a ieri un episodio di mala giustizia.
La politica si indigna, ma ci mette anche del suo. Nordio, potete scommetterci, non manderà
ispettori al tribunale di Locri. Ma pare evidente che il problema della giustizia non è tanto
riconducibile a una questione di norme da correggere quanto di uomini. La magistrata di Catania
che disapplica la nuova legge sui migranti avrà buone ragioni tecniche (se il legislatore scrive come
parla qualche pasticcetto l’ha combinato) ma la passione civile pubblicamente ostentata fa dubitare
della sua imparzialità. Alla moglie di Cesare, secondo gli antichi romani, non era sufficiente essere
onesta, tale doveva anche apparire. E i nostri magistrati, sempre più spesso, non si curano di
apparire imparziali.
Che offrire ai derelitti umana accoglienza e concrete opportunità di inserimento possa costituire un
incoraggiamento all’immigrazione clandestina è un sillogismo utilizzabile solo al bar o in
parlamento. Trasferito in un’aula di tribunale per configurare una catena di reati fino alla
associazione a delinquere, diventa una aberrazione della giustizia.


Mimmo Lucano non era un boss che gestiva i viaggi dei migranti, non era uno scafista e nemmeno
un complice di coloro che spesso chiamiamo “trafficanti di esseri umani”. Locuzione che, ogni
giorno, leggiamo sui giornali, ascoltiamo alla radio e in tv, sentiamo dalla viva voce dei politici e
persino del Papa. Immagine potente e fuorviante. Gli scafisti non sono mercanti di schiavi, sono
solo dei profittatori che sfruttano con inganno e violenza, il desiderio delle moltitudini di lasciare
l’Africa o l’Asia per venire in Europa a cambiare la vita propria e dei propri figli.
L’immigrazione, nelle dimensioni e nelle forme che ha assunto nel nuovo millennio, è un problema
immane, forse irrisolvibile. I paesi europei, e il nostro in particolare, non sono stati in grado di
affrontarlo in modo razionale. La retorica sugli scafisti spinta sino al punto di considerarli la causa
del fenomeno, di certo non aiuta. Tanto più che, ad onta dell’abbondanza di parole delle nostre
autorità, quasi sempre riescono anche a farla franca.
In questo contesto di dimensioni planetarie, Mimmo Lucano ha ritenuto giusto fare la sua piccola
parte verso chi, in quel momento, gli si presentava davanti in condizioni di bisogno. Ha risposto con
la generosità del cuore senza curarsi troppo del rispetto delle leggi e degli umori di coloro che le
scrivono.
Quello fra la legge e la coscienza individuale è un antico dilemma che diritto e filosofia non sempre
bastano a risolvere. Ha fatto di meglio l’arte. Grazie a Sofocle, sono più di duemila anni che tutti
noi pensiamo che Antigone avesse ragione

13 ottobre 2023