W LA SQUOLA !Pensiero Natalizio di Giovanni Monchiero
Mentre la neve latita e il favonio ci scuote le tapparelle con folate primaverili, a ricordarci che è
giunto il tempo del Natale interviene la sen. Lavinia Menninni, prima firmataria di una proposta di
legge volta ad impedire che i dirigenti scolastici, sulla spinta di genitori, alunni o chicchessia,
vietino l’allestimento del presepe o di altre rappresentazioni riconducibili alla tradizione cristiana.
“Vietato vietare” era uno slogan sessantottino. Tradotto in burocratese e trasformato nell’ultimo
baluardo della conservazione suscita ovvie ironie, però l’iniziativa della senatrice un paio di
riflessioni le merita. Dietro la proposta legislativa ci saranno anche finalità autopromozionali ma è
indubbio che essa rappresenti una risposta, opinabile, al disagio provocato in molti, specie tra i
non giovanissimi, dal continuo martellamento di slogan pseudoliberali volti a tutelare la diversità
in ogni sua manifestazione, anche a scapito del buon senso e del rispetto che meritano tradizioni e
sentimenti diffusi. Tutto il mondo celebra il Natale, massima festa consumistica planetaria, e non
dovrebbe farlo chi si richiama alle origini religiose dell’evento, magari evocando – non sia mai! – il
nome di Gesù Cristo nato a Betlemme?
Poi ci sono i rapporti fra società e scuola, unico luogo di socializzazione integrale ove si scaricano
tutte le tensioni del nostro vivere disordinato, senza orizzonti, incivile.
Sempre in clima prenatalizio, ha fatto notizia la disposizione impartita, in quel di Torino, da una
preside che ha invitato i docenti a non assegnare compiti per le vacanze, asetticamente definite
“invernali”, per rispettare le esigenze delle famiglie. Tanto più – scrive – che “sappiamo bene
quanto gli alunni più bravi non ne abbiano bisogno e come i più deboli, possibilmente, eviteranno
di svolgerli o si faranno aiutare da genitori o amici, in calcio d’angolo, il giorno prima del rientro a
scuola". Al di là della antica polemica sui compiti a casa (pare sopravviva una circolare del 1965
che già li sconsigliava alla domenica) non posso passare sotto silenzio l’inappropriato richiamo al
“calcio d’angolo” – particolare tipologia di ripresa del gioco, interrotto perché la palla è uscita dal
campo – che avviene in qualunque momento della partita. Per usare una locuzione calcistica
evocatrice di un risultato ottenuto in extremis, avrebbe dovuto citare non il calcio d’angolo ma la
“Zona Cesarini”. Comprendo che il gergo sportivo non sia materia inserita nella formazione di un
dirigente scolastico, ma prudenza consiglia, specie a chi insegna, di non avventurarsi per strade
sconosciute.
Fatta la precisazione tecnica, torniamo alla questione ben più seria dei rapporti con le famiglie,
uno dei punti dolenti nella agitata vita della scuola. L’anno che si chiude ha visto genitori
malmenare maestri colpevoli di avere dato un brutto voto al figliolo amatissimo, altri far ricorso al
Tar per tutelare il percorso scolastico della prole, bruscamente interrotto da docenti troppo severi.
È anche accaduto che uno studente incompreso abbia accoltellato l’insegnante e altri, più spiritosi,
abbiano sparato pallini di gomma in faccia alla scorbutica professoressa filmando la scena e
pubblicandola sui social, per la gioia di followers esultanti. Nel primo caso la famiglia ha ricorso al
Tar contro la boccatura del figlio. Nel secondo non ne ha nemmeno avuto bisogno: promosso.
In questo contesto, l’idea di affidare alla scuola il compito di rieducare i maschi del nuovo
millennio insegnando loro a coniugare rispetto e amore nei confronti delle femmine appare
decisamente velleitaria. A giustificazione del Ministro che l’ha promossa, va detto che la scuola è rimasta l’ultima agenzia educativa dopo che le altre sono state sopraffatte dai modelli proposti
dalla tv e dai social e che, dopo gli ultimi femminicidi, forte era la pressione sulla politica perché
facesse qualcosa.
L’assassinio di Giulia Cecchettin ha suscitato nel paese una marea di reale sgomento, espresso in
manifestazioni condite anche di slogan insensati: “il patriarcato uccide”, “Femminicidio, delitto di
Stato”, “per Te bruceremo tutto”. Ritratto di una società devastata. Un ammasso di singoli che,
con rabbia, si agitano nel vuoto. Tutti, maschi, femmine e ogni altro genere, presente e futuro.
Dove avrà appreso, Filippo Turetta, lezioni di patriarcato? In uno sperduto maso trentino, in
qualche masseria delle Murge, alla scuola serale dell’iman? Dubito che l’abbia assimilato in
famiglia, men che mai a scuola.
Valditara ritiene, invece, che la scuola possa fare molto. Dà vita a un progetto di “educazione alle
relazioni” che sarà affidato a docenti appositamente formati e. a garanzia di buon esito, istituisce
una apposita commissione di tre membri, tutte donne, rappresentative di diversi orientamenti
culturali: suor Monia Alfieri, l’Avvocato dello Stato Paola Zerman e l’ex parlamentare Paola Concia,
attivista Lgbt+. Sul nome della Concia scoppiano polemiche e che fa il Ministro? In ventiquattrore
si rimangia tutto. Se un ministro non riesce a reggere il punto nemmeno su una questione
sostanzialmente irrilevante, come farà a trasformare in guida della società la malridotta scuola?
Aggiungo una precisazione. Lo strafalcione del titolo è tratto da una vignetta di Giovanni Mosca,
inserita nel libro “Ricordi di Scuola”, gustoso diario della sua esperienza di maestro, pubblicato nel
1939. A quel tempo le famiglie erano molto più solide e rispettose del ruolo degli insegnanti. La
società era controllata dalla propaganda del regime. Eppure, nemmeno allora la scuola riusciva a
fare tutto.
22 dicembre 2023