Imprese, Livolsi: “Spese in formazione siano messe a bilancio come investimenti e non costi”

Il professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nell’appuntamento di ripresa della sua rubrica con l’agenzia Dire
Pubblicato:11-09-2024 12:10

ROMA – “La ripresa delle attività politiche dopo le vacanze, in un contesto di
generale incertezza – dal confronto con Bruxelles sulla manovra di Bilancio, alle
nomine Rai, dal dossier ‘balneari’ (le concessioni saranno prorogate fino al
settembre 2027 a seguito del decreto del Consiglio dei ministri del 4
settembre) all’Autonomia differenziata fino allo ius scholae e al caso dell’ex
ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – può partire dai dati confortanti
sull’occupazione. Come riportato dai media con grande enfasi, l’occupazione
nel nostro Paese raggiuge livelli record, superando, secondo i dati Istat relativi a
luglio, la soglia di 24 milioni di occupati, con un aumento dei contratti a tempo
indeterminato e un calo della disoccupazione, che tocca il 6,5%, il minimo da
oltre 16 anni”.

Ad analizzare la situazione è Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e
fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nell’appuntamento di ripresa della sua
rubrica con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco.
“Tuttavia- continua- non è tutto oro ciò che luccica. Non solo perché i giovani
senza impiego sono il 20%, ma anche per il persistere di una situazione di stallo
che impedisce alle aziende di disporre di giovani neolaureati di valore,
privandole per il futuro di nuovi manager eccellenti. Nella mia esperienza come
docente all’Università Link, vedo troppi bravi studenti già orientati a trasferirsi
all’estero. Uno su tre degli emigrati del nostro Paese sono giovani tra i 25 e i 34
anni, per un totale di oltre 30 mila individui, di cui quasi la metà vantano una
laurea o un titolo superiore (dati Istat). Si tratta di una perdita finanziaria,
oltreché di capitale umano. Il costo dell’istruzione di questi laureati, finanziata
dallo Stato italiano, dalle scuole dell’obbligo fino alla laurea, ammonta a oltre
tre miliardi di euro”.
“Secondo Confindustria- evidenzia Livolsi- una famiglia spende circa 165mila
euro per crescere ed educare un figlio fino ai 25 anni, mentre lo Stato eroga
100mila euro per scuola e università. Sempre l’Istat stima una perdita di più di
25 miliardi di euro in gettito fiscale dovuta ai laureati che emigrano all’estero.
Una delle motivazioni a emigrare per i giovani laureati è lo stipendio. Secondo il
rapporto Almalaurea 2024 i laureati di secondo livello trasferitisi all’estero
percepiscono a un anno dalla laurea 2.174 euro mensili netti, un +56,1% rispetto
ai 1.393 euro di chi rimane in Italia. A cinque anni dalla laurea, fuori dai confini
nazionali la retribuzione è di 2.710 euro, con un +58,7% rispetto ai 1.708 di quella
in Italia”. “Questa situazione ha conseguenze ancora più profonde: i giovani
italiani sono disincentivati a laurearsi- continua Livolsi- Nel 2023, l’Italia si
colloca tra gli ultimi Paesi in Europa per la percentuale di giovani laureati nella
fascia d’età 25-34 anni, con solo il 29,2%, rispetto al il 37,1% della Germania, il
50,4% della Francia e il 50,5% della Spagna (dati Istat). Per giunta, si va creando
una situazione legata alla famiglia d’origine, contraddicendo il principio della
nostra Repubblica basata sul merito, in cui i meritevoli dovrebbero essere
sostenuti negli studi. In Italia, la probabilità che un giovane ottenga una laurea
varia a seconda del livello di istruzione dei genitori. Se almeno uno dei genitori è
laureato, il 67,6% dei giovani riesce a conseguire una laurea. Questa
percentuale scende drasticamente al 39,1% nel caso in cui uno dei genitori
abbia solo un diploma di scuola superiore e precipita al 12,3% quando i genitori
possiedono solo la licenza media (dati Eurostat)”.

Le prime pagine di mercoledì 11 settembre
2024

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