GLI UOMINI RACCONTATI DAGLI ANIMALI. OVVERO, RIFLESSIONI BIO A CHILOMETRO ZERO, DI FINE ESTATE.

Riccardo Benvenuto
 
-Di caimani e di Struzzi con vocazione di quaglie-  
 
La letteratura, sin dall’antichità è ricca di autori, che, osservando il genere umano, hanno scritto le più belle poesie, favole e storie, di animali, ed attraverso questi, le gesta degli uomini, evidenziandone le virtù, le debolezze, le miserie.
Ci incuriosisce pensare a quali eventi specifici del loro tempo pensassero Fedro,  Esopo, ma anche La Fontain,  Orwel,  oppure Trilussa, e chissà quanti altri poeti, scrittori, saggisti meno conosciuti, nello scrivere le opere che hanno consegnato alla storia, e che, attraverso il bestiario, hanno narrato del genere umano.
Sull’argomento non ne fa  mistero Nanni Moretti, che, nel suo film intitolato “il caimano”, ispirato a un noto leader in auge negli anni 2000, il cui titolo, (a detta del regista), è ripreso dall’espressione con cui Franco Cordero ha definito il laeder sulle pagine di “Repubblica” dell’ 11 aprile 2004;  
ben diciassette anni fa .
A distanza di quasi vent’anni, per onestà intellettuale, devo ammettere che il leader di allora, era di gran longa meno peggio di molti altri personaggi contemporanei. Anch’egli vittima, come tanti, di rappresaglie editoriali e giornalisti al soldo.
Dal passo dell’ articolo di F. Cordero , (La Repubblica, 11 aprile 2004).
…..Il bello dello studiare B. è che le ipotesi analiticamente giuste risultano sempre confermate a opera sua: salta sulla preda, la inghiotte e digerisce, indi ripete l’operazione; fenomeni naturali, come le cacce del coccodrillo o la digestione del pitone. Tout se tient nella sua storia. (…)
 
Anche dei caimani, chiamati alligatori o coccodrilli, ne esistono varie specie. Oltre al caimano dell’amazzonia, il più grande ed il più vorace, (supera i sei metri di lunghezza), esiste il caimano dagli occhiali, sottospecie assai più piccolo e meno pericoloso ma con eguale voracità, ed anche il caimano nano, così chiamato per le dimensioni assai più piccole, meno del 20% dell’esemplare primario dell’amazzonia ma con uguale abilità ad inghiottire e digerire il pasto.
E’ chiaro  che le prede sono proporzionate alle dimensioni del coccodrillo. Il caimano nano non può certo pensare di fagocitare ciò che è più grande di lui stesso.
 
Non si illudano, con quest’ultima citazione, gli emulatori indigeni, (loro non sono nemmeno da considerare sottospecie), ora concentrati ed assorti a farsi accogliere in altre case, in vista dello sfascio catastrofico della loro che li aspetta;  pronti, se qualcuno dovesse aprirgli la porta, a continuare a far danni in casa altrui.
 
Le copie degli originali, -dimensioni a parte-, rimangono sempre contraffazioni, imitazioni, riproduzioni fasulle sempre prive di qualità, di spessore, di contenuti, di capacità, di vocazione, specie quando queste vengono riproposte in piccole realtà di provincia, da piccoli uomini. 
Periferie nelle quali viene sempre di  più negata la possibilità del confronto dialettico, pertanto costrette all’isolamento culturale e sociale,  dal terrore del confronto e della discussione in cui vive, che, nei fatti, nega alla comunità, ed anche a coloro cui offre il suo abbraccio mortale, ogni possibilità di crescita e di arricchimento, onde evitare che emergano i suoi limiti e le sue miserie, le sue patologie più o meno evidenti. 
 
Situazioni in cui prevale il più bieco populismo, a scapito delle verità e dell’informazione che la popolazione merita, e che gli vengono negate; anche a scapito delle più elementari regole dello stato di diritto, con il contributo attivo di chi ha, o si dà una veste politica e/o istituzionale, e della rete dell’informazione, che spesso si presta, (consapevolmente o meno), a giochi a volte loschi ed oscuri.
 
Anche per i gregari, (gregario è colui che tira la volata al “campione”), emerge l’angoscia di chi, a tutti i costi vuole darsi un ruolo, un motivo esistenziale, una ragione di vita, un motivo apparentemente valido, quantomeno verosimile, a giustificare la loro stessa esistenza.
Ecco  allora  emergere,  ad un tratto,  fra i tanti col fiato in gola, ma,  con in testa e nell’animo il nulla, il  “ ruggito di don Abbondio.
 
Ma perché la sua vocazione di Quaglia? 
E’ bene precisare che Quaglia non è  Roberto Quaglia, classe 1962,  già Consigliere Comunale di grande prestigio a Genova, noto scrittore di fantascienza, commediografo che ama il surrealismo il quale dice di se “ di essere venuto a questo mondo non riuscendo a tornare nell’altro. Decise allora di ambientarsi”.
Si tratta proprio della quaglia, del volatile.
Quali similitudini e caratteristiche comuni, hanno questi esemplari del genere umano con la quaglia, oltre agli elementari e noti salti (prevedibili) del volatile?
• La quaglia è un uccello diffuso in tutta Europa, dove rappresenta l’unico esemplare di uccello galliforme migratore. 
• Il suo habitat preferito sono i campi e le praterie dove riesce a mimetizzarsi completamente con la vegetazione. 
• Conduce una vita solitaria ma migra in stormi. 
• In questi animali è quasi impercettibile il dimorfismo sessuale:
•  In passato era assai diffuso allo stato libero, oggi lo è meno, a causa  della caccia sportiva in quanto il suo volo di fuga è lento. 
• E’ un uccelletto che predilige il volo notturno in fase di migrazione. 
La sua alimentazione è costituita da semi duri, chiocciole e insetti. 
• Costruisce il suo nido a terra, in una buca nascosta tra la vegetazione.  
Analizzando in sintesi la scheda dell’uccello, risultano evidenti le caratteristiche comuni con molti individui di specie umana:
• Anche lui vive in Europa, ma ancora non ne ha coscienza. Il suo sguardo si ferma ai confini del proprio habitat, che rappresenta le sue colonne d’Ercole. Ha anche dimenticato, dopo tanti anni vissuti da soggetto stanziale, la propria origine non precisamente autoctona.     
 
  Pratica nel senso politico la forma del gallismo, termine questo, nato dalle lotte per l’emancipazione femminile degli anni “70, con cui si definisce un individuo di specie umana che “ci prova”. E’ anch’esso un individuo che ha la propensione alla migrazione.
• In quanto ad habitat ha gli stessi gusti della quaglia, infatti preferisce i campi aperti e le praterie, giusto dove il suo sguardo arriva. Una siepe, un albero, o qualsiasi ostacolo si frappone tra lui ed il suo limitato orizzonte, lo fa andare in panico, non riuscendo ad immaginare ciò che esiste oltre la siepe. Ama molto mimetizzarsi, ma non ci riesce  sempre.
• Anche lui ama condividere il rischio delle elezioni, con aggregazioni che in buona fede ed onestà lo seguono nel suo percorso, così come la quaglia organizza la sua migrazione. Completato il percorso, prevale anche in lui, così come nella quaglia, la propria natura di animale solitario, scordandosi di quanto il suo gruppo di sostegno ed i suoi elettori hanno fatto per lui.
• Il dimorfismo della specie che ne caratterizza il sesso, impercettibile nella quaglia, è da accostare all’individuo di specie umana, non già alle proprie caratteristiche fisiche di maschio adulto, ce ne guarderemmo bene. Il dimorfismo impercettibile va letto in senso politico, di appartenenza, nel senso che, dalle sue espressioni ed esternazioni, non si è mai capito da che parte sta. Quale è la sua posizione, il suo schieramento, la sua appartenenza, la sua identità. 
• Della specie umana, anche questo stereotipo in passato era assai diffuso allo stato libero, quando il qualunquismo imperversava nella cultura nazionale. L’uomo qualunque è stato poi assorbito dalla presa di coscienza e dall’idealità sviluppatasi nella specie umana, così che, quei pochi individui ancora vaganti, facilmente individuabili, sono maggiormente esposti al pericolo di essere facilmente impallinati, in senso politico, s’intende. La facilità di cadere sotto il fuoco politico, diventa maggiore a causa della sua lentezza negli spostamenti. 

• Anche l’individuo umano ama gli spostamenti notturni come la quaglia. Pare che il favore del buio lo aiuti nella concentrazione, a definire “le sue cose”, magari davanti ad una buona mensa.

Mentre sappiamo con certezza l’alimentazione della quaglia, sull’individuo umano non ci è dato sapere i gusti prediletti. Sappiamo qualcosa da alcune indiscrezioni propagate dai suoi stessi commensali.
• Preferisce anche lui, come la quaglia, il volo radente, non avendo la capacità di volare alto, anzi, se non costretto, al volo in genere preferisce i saltelli, con cui abilmente riesce a muoversi. Di conseguenza i suoi nidi e rifugi  preferisce costruirli a terra. Ama nascondersi.
Il surrealismo, viene ancora arricchito. 
Non completamente appagato della sua naturale vocazione da quaglia, il soggetto umano, preso da impeto d’orgoglio, mimetizzandosi tra lo sparuto numero di autoctoni, a  proposito dell’inquinamento marino, di maleodorante spazzatura ammucchiata nelle strade, e del luridume in genere che hanno caratterizzando l’estate,  tira dal cilindro un’altra delle sue teorie:
Secondo il principio dell’io, che gli conferisce titolo di deroga a tutte le regole sociali e di diritto. Non solo: secondo lo stesso principio, l’indigeno, credendosi il solo depositario dei valori e del destino delle comunità, pensa di essere l’unico a potersi esprimere sugli argomenti che coinvolgono lo stato sociale.  
A dire il vero, di questo principio non può vantarne l’esclusiva.
Esso è condiviso con mirabile spocchia ed arroganza di chi ha sposato la sua causa.
 
In base allo stesso principio, con apprezzabile sforzo, prende coraggio e da fiato alle corde vocali, sino ad un istante prima bloccate dalle continue deglutizioni di saliva. Nel parlare, oltre a dar prova della sua stessa esistenza, scopre la sua natura di struzzo, che lo completa nella sua vocazione di quaglia. Un vero fenomeno.
 
Forse non lo avete mai visto da vicino ma di sicuro lo conoscete. Parliamo dello struzzo: l’uccello gigante dalle zampe lunghe e dalle magnifiche piume bianche e nere. 
Quell’uccello che, secondo Aristotele avrebbe una natura ibrida, mezzo uccello e mezzo mammifero  di terra.
Sì, proprio lui: quello strano “gallo” enorme che tutti conoscono per quella sua mania strana di cacciare la testa sotto la sabbia. Si dice che lo faccia quando ha paura e non vuole essere visto o non vedere. 
E’ per questo che anche fra noi umani diciamo “non fare lo struzzo” a chi ha paura e tenta improbabili difese “da struzzo”. 
La sua incapacità di volare lo ha reso simbolo dei bestiari medievali dello scontato e dell’ipocrisia; esso rappresenta l’incapacità di lasciare il mondo, il terreno. 
Lo stomaco dello struzzo è proverbiale: è solito inghiottire corpi esterni specialmente se brillano e “cibi” che restano nel ventriglio dove vengono lentamente “tritati”. Ciò ha dato vita all’espressione metaforica” “avere uno stomaco di struzzo” – cioè “avere uno stomaco di ferro” – capace di inghiottire anche il ferro. Da  qui in senso traslato anche le peggiori offese.
 
Con gli ammiccamenti degli amici di cordata, che, meritano avere un posto nel bestiario (è già in fase di studio), prende più coraggio ed affonda i colpi con la solita brillantezza che lo distingue.
La sua attenzione è rivolta a quelli che, hanno avuto l’ardire di rendere pubblico le catastrofi ambientali. L’aver tenuto spesso, da struzzo, la testa sotto la sabbia, e, quelle poche volte che ha sollevato lo sguardo al suo orizzonte da quaglia, non gli ha permesso di accorgersi di ciò che lo circonda.
Lui si rifiuta di vedere il putridume maleodorante ammucchiato per la strade, quel sottofondo costante e puzzolente che ci accompagna per le strade, dentro casa, davanti ai bar, alle vetrine, nei mercati. Non vuole sapere delle violenze verbali e fisiche, delle sparatorie, degli accoltellamenti. Non vuole nemmeno sapere dei tantissimi adulti e bambini corsi al pronto soccorso degli ospedali che non sono più tali, o dai medici locali, con infezioni sulla pelle, sugli occhi. Non vuole sapere che il mare è in serio pericolo. 
Ma soprattutto non vuole che si dica  per il buon nome, di una economia precaria da sempre,  ora ridotta allo stremo. 
Pensando da struzzo, crede di risolvere i problemi ignorandoli, sottacendoli, anche negandoli, continuando a fare l’ignavo.  E’ tipico il suo linguaggio gestuale, quando, con spalle raccolte,  vuol dire “io non c’entro – non ne so niente – che ci posso fare”.La sua natura di individuo solitario ed individualista, gli fa pensare che, delle azioni politiche o pseudopolitiche, dietro le quali, spesso, vengono  grossolanamente nascoste vere e proprie  rappresaglie, lui stesso, pur condividendole, anche con eloquenti silenzi, non è responsabile. Che strano modo!
L’estate è finita. Gli alberghi manderanno a casa il personale stagionale, i campeggi chiuderanno, come le tante attività commerciali di tipo stagionale, gli stabilimenti raccoglieranno le attrezzature. Si tireranno le somme.
Al consuntivo, che avrà senz’altro risultati negativi, rinfrescati dai temporali di fine estate, la speranza è quella che questa situazione surreale, faccia riflettere soprattutto la popolazione ma anche a chi ci governa, anche loro impegnati, a fine estate, a tirare i consuntivi.
A  noi, tanto per citare Manzoni, non resta che aspettare una bella pioggia purificatrice.
Scalea 23 novembre 2021
Riccardo Benvenuto
 
 
 
 
 
 
 

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